Il day after di Nadia Battocletti è stato quello del ritorno a casa, delle condivisioni sui social, delle analisi e della presa di coscienza di quel che si è fatto. Nadia si era presentata a Bruxelles come la grande alternativa alla Grovdal, dominatrice delle ultime due edizioni e confermatasi di un’altra categoria sui prati insidiosi di Laeken Park.
E così è stato: non è riuscita a giocarsela alla pari, ma è stata bravissima a gestirsi e il suo argento pesa tantissimo. Per sé, dato che c’è straordinaria continuità con quanto fatto nelle quattro edizioni precedenti dei Campionati europei di campestre, con altrettanti ori tra under 20 e under 23. Per l’Italia, perché Nadia, a soli 21 anni, è la prima donna a salire sul podio continentale nel cross.
La sensazione, anzi una certezza, è che il meglio debba ancora venire per la portacolori delle Fiamme Azzurre e faro del nostro mezzofondo. Va forte dappertutto. E difficilmente fallisce un obiettivo.
Dietro i suoi successi c’è un legame indissolubile e un binomio che funziona. Quello con papà Giuliano. Che gonfia il petto, a ragione, di fronte alle gesta della figlia. “E’ stata una giornata storica – spiega Giuliano Battocletti – probabilmente Nadia avrebbe corso ancora più forte con un percorso più asciutto e meno fangoso. E’ stata bravissima a non andare in panico e a continuare con il suo ritmo quando la Grovdal, su questi terreni molto forte, se n’è andata. Ecco, rileggendo i suoi parziali, posso dire che ha compiuto giri regolari.
Nessun rammarico, insomma, per non aver vinto.
“L’obiettivo era centrare la medaglia. Nello sport ci sono anche gli avversari ed è giusto fare i complimenti a chi ti arriva davanti. Nadia avrà tante altre occasioni per inseguire una tripletta tra under e assoluti mai riuscita a nessuna atleta”.
Oltre alla sapiente intelligenza tattica, sorprende di Nadia la capacità di non fallire gli appuntamenti cerchiati con il rosso sul suo calendario.
“Per ogni stagione fissiamo degli obiettivi primari. E tutto il resto è contorno. Nadia ha gareggiato tanto in questo 2023, ma non si è mai sfinita, anche quando ha siglato il record italiano dei 10 km su strada. La paragono a una ciclista che si prepara per le classiche e per i grandi giri, mentre le altre gare le sfrutta per tirare a lucido la gamba. Lei è una fuoriclasse. E i fuoriclasse non sbagliano. Quest’anno ha steccato solo la finale di Budapest, ha pagato un po’ la gioventù e un po’ il mancato recupero dopo la semifinale”.
Il vostro rapporto è molto professionale: siete pure bravi a evitare eccessivi clamori ed esposizioni mediatiche.
“Io e Nadia abbiamo caratteri simili e siamo compatibili, oltre ad essere molto attaccati dal punto di vista affettivo. Discutiamo degli obiettivi, forse il nostro segreto è quello di parlare tanto, non solo di tabelle. C’è uno scambio continuo di idee e lei è brava a trasmettermi le sue sensazioni e a intuire i segnali del suo corpo. Riesce a farlo fin da bambina. Per il resto facciamo il nostro, andiamo d’accordo con tutti e condividiamo i programmi con La Torre, Leporati e il presidente Mei”.
Prossimi appuntamenti?
“Una volta saltata la 10 km a Barcellona, faremo la BoClassic a San Silvestro, il Campaccio e una 10 km su strada la settimana successiva. E poi ricominciamo la preparazione per la pista”.
Quest’anno curerete anche i 1500.
“Assolutamente sì, il 2024 sarà l’anno in cui Nadia, che ha un personale di 4’03″34, può puntare anche al record italiano su questa distanza. L’obiettivo è andare alle Olimpiadi con 1500 e 5000 mentre agli Europei di Roma farà solo i 5000. Inoltre è probabile anche che durante la stagione faccia un 10.000 su pista, sempre per provare il record italiano”.
Di Nadia traspare anche l’impressione di una ragazza serena oltre che determinata.
“Da genitore non posso che essere contento di lei. Non ha grilli per la testa, si dedica all’atletica ma anche allo studio, dato che si è scelta una Università abbastanza impegnativa (è iscritta a Ingegneria Edile e Architettura, ndr)”.
Ma quando ti sei accorto che andava così forte?
“Da bambina, perché andava molto più forte degli altri. E poi la stoffa del campione si riconosce molto presto”.
Foto Grana/Colombo – Fidal
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