La pazienza è la virtù dei forti. Giada Carmassi deve averne avuta davvero tanta negli anni in cui era finita nelle retrovie dei suoi ostacoli. Nove, per l’esattezza. La sua prima e ultima apparizione in azzurro risaliva alla Coppa Europa, disputata a Cheboksary (Russia). Era il 2015, Giada aveva vent’anni e mai avrebbe immaginato che di lì a poco sarebbe iniziato un autentico calvario.
L’atleta udinese di Magnano in Riviera, classe 1994, si impantana tra cambi di guida tecnica e infortuni. Cambia tre volte coach. I tempi peggiorano. Ogni certezza viene meno. I sogni si allontanano. Giada perde anche il supporto del gruppo militare, l’Esercito. Ma non per questo si abbatte. Con la maglia dell’Atletica Brugnera Friulintagli, si rimette in gioco. Trova stabilità con Emanuele Olivieri a Padova. E torna a sorridere, cronometro alla mano. Quel che è stata capace di fare ai mondiali indoor, ovvero il personale nelle batterie dei suoi 60 ostacoli con 8”03, nasce da lontano.
Nelle ultime tre stagioni, i tempi di Giada Carmassi sono infatti tornati ad abbassarsi sensibilmente, di circa cinque decimi rispetto a quando le cose non andavano. La scorsa estate era arrivato il primo titolo italiano sui 100 ostacoli, poi l’inverno ha portato una sequenza di prestazioni di rilievo in sala (8”07 a gennaio, 8”10 in batteria ai tricolori di Ancona) che hanno convinto il direttore tecnico La Torre a consegnarle un biglietto per la Scozia.
Giada, sei tornata in azzurro dopo nove anni di assenza. Cosa c’è stato in mezzo?
“Un tempo infinito, dove ne sono successe di tutti i colori. Ho fatto tanti cambiamenti a livello di guida tecnica che, come spesso accade, non hanno portato a nulla di buono. Sono stati necessari dei lunghi periodi di adattamento, senza peraltro avere certezze”.
Cominciamo da quando hai deciso di trasferirti a Roma da Vincenzo De Luca.
“Il tecnico non si discute, aveva allenato con ottimi risultati Veronica Borsi. Ma su di me le sue metodologie non funzionavano. Ho sofferto la lontananza da casa. Ho capito che dovevo recuperare l’equilibrio a livello personale prima di concentrarmi sull’atletica”.
E sei tornata a Udine.
“Altri due allenatori. Piccoli miglioramenti ma nulla a che vedere con quello che ero riuscita a fare quand’ero più giovane”.
Poi l’incontro con Emanuele Olivieri, il tuo attuale coach.
“Era la fine del 2019. Andare a Padova è stata la svolta anche se all’inizio una grande scommessa. Lui aveva un gruppo di dieci velocisti e non aveva mai allenato negli ostacoli. Mi disse che avremmo iniziato dalla mia ottima velocità di base. E che sulla tecnica avremmo riflettuto insieme sulle soluzioni migliori”.
Pronti-via, subito un grave infortunio.
“Mi sono strappata il bicipite femorale. Lo specchio di quanto mi ero allenata male negli anni precedenti”.
Dopo la guarigione però i tasselli, pian piano, hanno iniziato ad andare al loro posto.
“Tre-quattro anni di piccoli progressi che hanno dato fiducia al nostro lavoro. Credo anche che un episodio abbia contribuito in un certo senso a sbloccarmi”.
Raccontacelo.
“Nel dicembre del 2021, in piena preparazione indoor, mi sono fratturata il gomito destro a causa di una caduta. Ho rotto tutto, legamenti compresi. Mi hanno operata una prima volta, in attesa di tornare sotto i ferri ad aprile per rimuovere viti e placche. Eppure, con un po’ di sana incoscienza, a febbraio ero in campo ad allenarmi con i tutori”.
E poi?
“Mi sono presentata agli Assoluti indoor. Lo so, è stata una follia, a un mese e mezzo dall’intervento. Ma ho voluto rimuovere subito il trauma di quella caduta. Sono riuscita a conquistare la finale, per me è stato un grande momento. E da quell’anno sono state poste le basi per il mio ritorno ad alto livello”.
Colpisce come negli ultimi anni tu sia migliorata sempre, pochi centesimi alla volta.
“E’ la caratteristica che contraddistingue il lavoro fatto con Emanuele. Con lui ho una costanza incredibile. Ed è stato bravissimo a portarmi in forma sempre al momento giusto. E’ stato così anche ai mondiali di Glasgow, nonostante fossimo già a marzo. Fare il personale in batteria è stato straordinario”.
Dalla Scozia possiamo dire che per te inizia una nuova mini carriera.
“E’ la mia rinascita. Ora guardo con fiducia ai 100 ostacoli della stagione outdoor, anche perché l’ultimo segmento di gara è stato molto buono”.
Come hai trovato il gruppo della Nazionale dopo 9 anni?
“E’ cambiato tutto, siamo andati in Scozia con tanti giovani. Il clima che si respira è bellissimo, è stata una bella esperienza anche perché molti ragazzi non li conoscevo. Quando ero stata l’ultima volta in azzurro ero la più piccola. Ma con una differenza…”.
Quale?
“Che un po’ impaurita lo ero, oggi talenti come Furlani e Simonelli hanno già sicurezza e hanno dimostrato di poter fare grandi cose”.
Dove vuoi arrivare quest’anno?
“Gli Europei sono una bella occasione e ci tengo a far bene. Per Parigi è dura, ma ci si prova”.
Ritornare dopo nove anni così difficili è sintomo di pazienza infinita e grande determinazione.
“I momenti bui mi hanno insegnato a reagire più di quanto mi abbiano gratificato i risultati positivi. Certo, magari sarebbe stato meglio avere un po’ meno sfortuna, ma io non ho mai smesso di credere nelle mie potenzialità e di poter tornare ai livelli che mi competono, anche quando sentivo dire che ormai ero finita. In questi giorni ho visto il duro passato scorrermi davanti”.
Chi ti è stato accanto in questi anni?
“La mia famiglia, il mio ragazzo Nicolò e tutto lo staff che lavora con me. Devo ringraziare anche il Centro Sportivo Esercito, che da quest’anno mi ha ripresa con sé. Non capita tutti i giorni che qualcuno sia disposto a credere di nuovo nelle tue capacità”.
Foto Grana / Fidal