Da Crippa a Bruni, gli azzurri che chiedevano di più a Budapest

Oltre che esaltare – come è doveroso fare – i risultati di un’atletica italiana in salute e con grandi prospettive per il futuro, i mondiali di Budapest hanno anche registrato delle controprestazioni che in alcuni casi non solo soltanto il frutto di una giornata storta, bensì di qualcosa che deve essere sicuramente rivisto e che suggerisce scelte importanti e cambiamenti.

E’ il caso di Yeman Crippa, solo dodicesimo e mai protagonista nei 10.000 metri. L’azzurro ha ammesso che la stagione in pista è stata disastrosa e lasciato intendere di voler puntare in futuro molto più sulla maratona, a cominciare da quella olimpica di Parigi.



Il suo debutto sui 42 km e 195 metri questa primavera a Milano non era passato inosservato (2h08’57”) e a livello mondiale forse potrebbe essere la strada da perseguire. E’ chiaro che conciliare mezzofondo prolungato e maratona diventa per lui molto complicato: ecco perché all’azzurro si chiede di effettuare una scelta netta d’ora in avanti.

Restando nel mezzofondo, non hanno convinto neppure i gemelli Osama e Ala Zoghlami. Gli allievi di Gaspare Polizzi si sono spenti nelle batterie dei 3000 siepi restando fuori dalla finale, obiettivo che pareva alla portata dei ragazzi siciliani.

Qualcosa non ha funzionato nell’avvicinamento a Budapest, altrimenti non avrebbero corso circa 20 secondi più lenti del loro personale. La distanza, peraltro, aspetta ancora di sapere come andrà a finire lo strano caso di Ahmed Abdelwahed, di cui abbiamo parlato in un articolo a parte la scorsa settimana.

Le prestazioni non esaltanti nella velocità a livello individuale chiaramente sono state cancellate dalla straordinaria medaglia d’argento della staffetta 4×100.
Eppure c’è un Fausto Desalu che dopo l’infortunio si è presentato a Budapest in condizioni precarie e non è andato oltre la prima heat: Fausto, che a inizio stagione aveva sperimentato anche i 400, è un prezioso uomo staffetta e va recuperato in fretta.

Di Filippo Tortu è già stato detto tutto, e in tutte le salse. Il suo 20″46 nei 200 è stata una prestazione semi-sconcertante per le qualità del brianzolo, che poi si è ancora una volta trasformato con il testimone tra le mani.

Il dilemma tra 100 e 200 continua ad animare il dibattito intorno a lui, ma forse è giunto il tempo di attivare un dialogo tra lo staff del ragazzo e la federazione per sistemare qualcosa nell’approccio dell’atleta alle competizioni.



Ci si aspettava senz’altro qualcosina di più da Samuele Ceccarelli. Arrivato in Ungheria come l’alternativa a Jacobs, il massese ha dimostrato di dover ancora lavorare tantissimo sui 100 metri per poter guadagnarsi un posto tra i migliori.

Il 10″26 è un tempo che non può far felice il campione europeo indoor dei 60 e c’è tutto il tempo, a cominciare dall’inverno, per mettere a punto dal punto di vista tecnico la corsa e trasformarsi in uno sprinter outdoor di sicuro affidamento.

Normale che la sua controprestazione nella heat gli abbia poi fatto perdere il posto in staffetta e questo non deve avergli fatto piacere, lui che la 4×100 l’aveva spinta fino a Budapest grazie alla frazione corsa brillantemente a Grosseto.

Che dire poi di altri azzurri rimasti scottati dal mondiale?
Nessuno avrebbe immaginato che Zane Weir, dopo l’ottima qualificazione del mattino, avrebbe chiuso anzitempo la sua finale con un modestissimo 19.99: il campione europeo indoor, per tutta la stagione dei meeting, ci aveva abituato a scagliare costantemente il suo peso sui 21 alti e anche oltre i 22 metri.
A spiegare cosa possa essere successo all’italo-sudafricano ci ha pensato pochi giorni fa il suo coach Paolo Dal Soglio, che nel frattempo ha festeggiato l’argento storico di Leo Fabbri.

Un altro rimasto a mani vuote è Francesco Fortunato, che aveva dominato la 10 km di Madrid e la 20 km dell’europeo a squadre di Podebrady. Sulla 20 km iridata, Fortunato era uno dei favoriti per l’oro, ma sotto la pioggia battente non è stato in grado di reggere il passo di Martin, al pari del compagno di squadra Massimo Stano. Non possiamo parlare certo di debacle, dato che il pugliese ha marciato a soli due secondi dal personale e ha confermato l’alto livello raggiunto in questa stagione.



Avrebbero potuto fare di più Roberta Bruni e Gaia Sabbatini. La prima, nell’asta, si è fermata a 4.35, troppo poco per una che pochi mesi fa ha stabilito il record italiano. Non è la prima volta che nelle gare internazionali, l’allieva di Riccardo Balloni si scioglie sul più bello. E lei stessa ha riconosciuto di dover scavare a fondo per cercare di progredire a livello mentale e incidere sulle prestazioni.

Muso lungo anche per Gaia Sabbatini, incredula di fronte a una brutta semifinale nei 1500 dove ha provato, per sua ammissione, una sensazione di raptus di acido lattico mista a stanchezza. Anche in questo caso, ci sarà tempo per analizzare cosa non è andato, ma i segnali visti nel primo turno sono confortanti e vanno di pari passo con tutto il mezzofondo femminile uscito da Budapest con le spalle larghe.  

Hanno centrato la finale e potevano fare di più anche Daisy Osakue e Nadia Battocletti. La primatista italiana del disco non può sorridere di fronte a lanci di tre metri inferiori agli ultimi suoi standard.
La trentina si è spenta a metà gara della finale dei 5.000 metri arrivando ultima e in lacrime, ma la sua controprestazione non dovrebbe lasciare strascichi sulla crescita esponenziale a cui stiamo assistendo.



Chiudiamo con Iapichino e Furlani. Sono giovani, giovanissimi. E impareranno tanto da questa rassegna. Su Larissa niente da dire. E’ stata tutta la stagione ai vertici e il suo quinto posto nel salto in lungo è comunque un risultato di rilievo.
Mattia ha solo 18 anni e per certi versi è giusto pagare dazio di fronte all’inesperienza e al peso delle aspettative. La misura di 7,85 non è da lui, il talento non si discute e siamo sicuri che il 2024 potrà essere l’anno della consacrazione per il reatino.

Foto Colombo – Grana / Fidal

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