Quando l’asticella è caduta per la seconda volta dall’altezza di 2,29, tutti almeno per un istante abbiamo pensato che stavolta Gianmarco Tamberi non avrebbe portato a casa la medaglia d’oro. Già, uomini di poca fede. Dovevamo saperlo che per uno come Gimbo, la sconfitta non è contemplata, almeno fino a quando un giudice lo inviti a lasciare lo Stadio.
Dovevamo saperlo che Tamberi sa solo vincere. E guarda caso lo ha fatto un’altra volta. In casa. Davanti a una curva impazzita. Per una Nazione che grazie ai suoi show e ai suoi trionfi, rappresenta meglio di chiunque altro. Non poteva esserci scelta migliore per il nome di portabandiera alle Olimpiadi.
L’atleta che risorge dalle ceneri
Gianmarco Tamberi ha sempre avuto la meglio su tutto. Sugli avversari e sugli infortuni. Con una forza d’animo che appartiene solo ai campionissimi. La lesione al tendine d’Achille che gli impedì la partecipazione ai Giochi di Rio è il massimo esempio. Per cinque anni, una sola idea fissa gli è balenata in testa. Ripresentarsi a Tokyo e portarsi a casa la medaglia d’oro.
In questo 2024 aveva messo nel mirino due obiettivi, confessando di non dedicarsi a nient’altro: gli europei di Roma in posizione leggermente defilata rispetto alla conferma del titolo olimpico.
Il primo è già in bacheca, anche se per diversi minuti stava per dirigersi in Ucraina per merito di Lavskyy.
Ma figuriamoci se un atleta navigato come lui possa farsi destabilizzare da due errori nella stessa misura. Scacciati i fantasmi, ecco la cavalcata fino a 2,37, per il terzo sigillo continentale all’aperto, dopo Amsterdam 2016 e Monaco 2022. Come Adolfo Consolini, l’ultimo a vincere tre volte un europeo, nella stessa disciplina, il lancio del disco. Un’altra epoca, accadeva tra il 1946 e il 1954.
Tamberi sa leggere le gare come nessun altro
Nel post-gara, Gimbo ha spiegato di aver adottato fino alla misura di 2,29 una rincorsa più breve, a nove passi. Un approccio soft voluto, perché tra meno di due mesi si va a Parigi e, come detto, i Giochi sono pur sempre l’obiettivo primario e non vale la pena rischiare troppo.
Ma quando il marchigiano ha visto che la strategia non sortiva gli effetti sperati e che la velocità allo stacco non poteva essere quella dei giorni migliori, allora ha deciso di cambiare e affidarsi agli undici passi. Inserendo una marcia in più, ha svoltato e annichilito la concorrenza. Dando dimostrazione di grande intelligenza. Di capacità di leggere i diversi momenti delle competizioni. Di gestione ottimale delle proprie risorse.
Gianmarco Tamberi è l’atletica: ricorda Tomba e la sua gente
La prestazione di Gianmarco Tamberi va di pari passo con le ormai canoniche performance di prim’attore. Lui non si nasconde mai, anzi. Fa di tutto per catturare l’attenzione e inscenare uno spettacolo. A modo suo, anche a costo di risultare antipatico.
Tamberi chiama a gran voce il popolo e il popolo risponde. Non lo fa soltanto a fine gara, come gli altri campioni. Ma durante. Riuscendo al contempo e come nessun altro (per questo è unico) a restare concentrato sul salto. Il frastuono lo esalta. Tra una scenetta e l’altra, continua a salire di quota. Scavalca la tribuna dopo il 2,34 e il tempo che gli sistemino l’asticella, si rimette le scarpe e fa 2,37. Un mostro.
Più che Valentino Rossi, mi ricorda Alberto Tomba, idolo della mia infanzia. Albertone non aveva chiaramente il tempo di fermarsi durante i suoi slalom. Il cronometro gliel’avrebbe fatta pagare, anche se i suoi fan ricorderanno un paio di occasioni in cui nei pressi della linea del traguardo sollevò il braccio al cielo in segno di esultanza, sapendo già di aver vinto.
Tomba, come Tamberi, aveva la capacità di trascinare le folle. Di dare spettacolo dentro e fuori le piste. Ecco, i successi del bolognese trasformarono come mai prima gli italiani in un popolo di sciatori. Sarebbe bello che le imprese di Gimbo – non so cos’altro potrebbe fare a questo punto per promuovere il suo sport – spingessero sempre più ragazzini ad avvicinarsi all’atletica.
foto Grana / Fidal