Penultimo giorno di gare: mattinata lenta di qualificazioni, serata che si accende con l’ingresso in pedana dei saltatori. La curva sud è piena per vedere Gimbo Tamberi. Silenzio assoluto al suo primo salto a 2.22. Poi lo stadio esplode.
Inizia la gara di triplo, anche qui, come nell’alto, ci sono tre italiani in gara. Dominano fin dai primi salti gli iberici di origine cubana: è sfida tra il campione olimpico e mondiale Pablo Pichardo e Jordan Alejandro Diaz Fortun. Il portoghese Pichardo piazza un 18.04 al secondo balzo, è record nazionale e dei campionati, lo spagnolo è indietro di mezzo metro. Migliora, saltando 17.82, stagionale, ma non basta.
L’elasticità della pedana avvantaggia i saltatori che hanno una rincorsa ampia. Il presidente della federazione spagnola, Raul Chapado, lui stesso ex triplista, aveva pronosticato una vittoria di Pichardo su Diaz Fortun. “Uno come Fabrizio Donato si sarebbe trovato benissimo qui”, aveva detto.
Parte la gara dei 400 ostacoli maschili. Vittoria (scontata) di Karsten Warholm, che sigla il record dei campionati con 46”98. Dietro di lui arriva Alessandro Sibilio, che ferma il cronometro a 47”50 e così facendo ruba il primato a Fabrizio Mori, ogni tanto tecnico di sostegno.
Il napoletano si commuove, con questo argento europeo “ha fatto il miracolo” (per usare le parole della speaker in campo Laura Strati). “No”, dice lui, “il miracolo sarebbe stato un altro, ma per stasera va bene così”. Era in forma e ce l’aveva detto. Al femminile non c’è storia: Femke Bol corre in 52”49. Ayomide Folorunso chiude in 55”20.
Nel frattempo Gimbo sbaglia il primo tentativo a 2.26. La misura la passano subito solo i due ucraini Oleh Doroshchuk e Vladyslav Lavskyy. Anche l’Ucraina come l’Italia è terra foriera di altisti. Al femminile Yaroslava Mahuchikh e Iryna Gerashenko avevano vinto due giorni prima rispettivamente l’oro e il bronzo. Secondo tentativo, superato con una certa rabbia. È la grinta che viene fuori, quella del re che vuole restare sul trono.
Nel frattempo sono partiti i 10.000 metri femminili, dopo i soliti problemi tecnici che hanno finora caratterizzato questi campionati europei. Forse non era un’ottima idea fare alto e 25 giri in contemporanea.
Sotto la tribuna dirimpettaia, quella nord, visibilmente più vuota, comincia anche la finale del giavellotto femminile. L’austriaca Victoria Hudson scaglia subito l’attrezzo a 64.62 e di fatto chiude la gara, anche se la serba Adriana Vilagoš le sta alle calcagna, a soli 20 centimetri di distanza, con la miglior misura europea under 23 dell’anno.
Nell’alto restano in quattro dopo 2.26. Gimbo prova 2.29. L’asticella cade. Sulla pedana fanno il loro ingresso anche Agitazione e Frustrazione ora. Ancora di più dopo il salto pulito di Lavskyy a 2.29 al primo tentativo. Gimbo lo passa al terzo. Soffre, e il pubblico con lui, ma non è finita.
Nadia Battocletti domina la gara dei 10.0000 correndo in solitaria gli ultimi 800 metri, l’Olimpico esplode quando il cronometro si ferma a 30”52’32. Record nazionale e doppietta di ori dopo quello conquistato nei 5.000. “Ma fino a dove si può spingere questa ragazza?” pensano tutti, perché è chiaro che per la 24enne allenata da papà Giuliano, questi europei sono le prove generali prima di Parigi.
Nella stessa gara ottimo quarto posto di una Federica Del Buono, finalmente ritrovata, che chiude con il personale di 31”25’41.
Anche Andrea Dallavalle è tornato, finalmente, dopo un anno di assenza dalle pedane internazionali. Chiude la sua gara di triplo con 16.90, a due soli centimetri dal compagno di squadra Emmanuel Ihemeje. Tobia Bocchi, con 16.18 non centra la finale. È sfida tra bandiere iberiche. Diaz sbugiarda il proprio presidente di federazione e salta 18.18, ruba il record dei campionati. Forse Chapado gli ha consigliato di cambiare qualcosa nella rincorsa, perché alla fine l’oro è suo, non prova nemmeno l’ultimo salto, non serve aggiungere sbavature a una gara perfetta così.
Nel frattempo Tamberi salta 2.31 alla prima. E supera di molto l’asticella, ma si perde di nuovo a 2.33. Lavskyy, già al personale a 2.29, se la vuole giocare con il campione olimpico e dopo il primo fallimento a 2.31, va a 2.33, ma non ce la fa, due nulli. Anche Gimbo ha fatto due nulli, decide di alzare l’asticella a 2.34: ha un solo tentativo. Spinge, vola e l’oro è suo.
Ha fatto penare i suoi tifosi. Non ha solo aizzato la folla con il suo entusiasmo, sta davvero regalando uno spettacolo incredibile al pubblico. È una gara nervosa, scostante, la sua. Ma è il più forte d’Europa, questo è quello che conta. Allora prova a 2.37. “Se fanno tutti i record del campionato, perché non posso farlo io?”, dice lo speaker Federico Bini leggendo, forse, nel pensiero del campione. Di nuovo, passa l’asticella al primo tentativo. Queste sono le sue altezze, è qui che uno come lui, tutto nervi in tensione, si trova a suo agio, tra la serenità delle nuvole, dove solo i folli osano spingersi.
Si conclude il decathlon e Dario Dester, infortunato fino a qualche mese fa, ha fatto il record italiano, come la compagna di allenamento Sveva Gerevini. Ma lo Stadio Olimpico è tutto di Gimbo, che corre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella seduto in tribuna, si inchina, chissà cosa si dicono. È più di una festa, più di un’esultanza nazionale, una psicosi di massa.
Si abbassano le luci per la finale dei 200 metri femminili, riportando un po’ di contegno. Vince la favorita, Mujinga Kambundji: con 22”49 si riconferma campionessa europea a un centesimo da Darryll Neita, l’inglese allenata da Marco Airale. È delusa come la sera prima lo era Filippo Tortu, la condanna dei secondi. Se nelle gambe senti di avere il metallo più prezioso, l’argento brucia. La francese Helene Parisot, invece, per il suo bronzo, ottenuto con 22”63, si commuove. È personale, ha battuto i suoi stessi limiti. Sembrano non essercene più all’Olimpico.
foto Grana / Fidal