Buona la prima per Fatoumata Kabo, la “texana” alle prese con l’arte dei 400

Ha corso un solo 400 metri all’aperto ed è subito diventata la decima italiana nella specialità quest’anno con il tempo di 52″93 del Challenge. Fatoumata Kabo – Fatou, per gli amici -, da poco tornata a Carpenedolo (Brescia) dagli Stati Uniti (studia e si allena alla Angelo State University, in Texas), è iscritta sia nei 400 piani che nei 400 a ostacoli ai Campionati italiani di La Spezia in partenza domani.

“Ma – racconta la 22enne Fatoumata Kabo – correrò solo i 400″. Le atlete che la precedono in graduatoria erano state tutte convocate per gli Europei di Roma nei 400 individuali o nella staffetta (femminile o mista). Sono: Alice Mangione, Anna Polinari, Ilaria Accame, Giancarla Trevisan, Rebecca Borga, Alessandra Bonora, Virginia Troiani. Avversarie difficili da battere. Eppure, se consideriamo che Fatou ha corso solo una volta il giro di pista senza barriere, strappare un biglietto per le Olimpiadi di Parigi non sembra un’eventualità così remota.

Fatou, a fine maggio negli Stati Uniti hai corso i 400 ostacoli in 57″39 vincendo i campionati nazionali della seconda divisione della NCAA (la National College Athletic Association). Come mai a La Spezia correrai solo i 400 e non la specialità con le barriere?
“Ho iniziato come velocista, ma sulle distanze più corte, 100 e 200 metri. In realtà fin da piccolina il mio allenatore in Italia, Giovanni Tallaroli, insisteva per farmi fare i 400 piani, ma qui a Carpenedolo, dove vivo, abbiamo solo un pistino da 120 metri, quindi non era fattibile allenarmi bene per i 400. Anche arrivata negli Stati Uniti ho iniziato come centometrista, ma poi ho iniziato la preparazione invernale per i 400, con l’head coach della Angelo State, Thomas Dibbern, perché la mia squadra aveva bisogno di qualcuno per la staffetta. Mi sono piaciuti e ho deciso di continuare su quella strada”.

Sei consapevole che potresti andare a Parigi se fai un buon tempo?
“Sicuramente l’obiettivo è provarci per le Olimpiadi. Stavamo già lavorando per gli Europei ma sono riuscita a fare la prima gara outdoor solo qui in Italia. Negli Stati Uniti mi sono allenata bene, inizio ora a sentire un po’ la fatica”.

Fatou Kabo nel rettilineo dei 400 metri.


Infatti, nella stagione outdoor “americana” hai corso quasi sempre solo i 400 ostacoli. Cosa preferisci, il girio di pista con o senza ostacoli?
“In realtà sono più per i 400 piani ora. Fin da piccolina ho sempre amato gli ostacoli, ma ho dovuto smettere per il male al ginocchio che mi causa il morbo di Osgood-Schlatter. Per adesso, finché non risolvo il problema, preferisco concentrarmi sui 400”.

Anche perché negli ostacoli puoi sicuramente migliorare la ritmica e il valicamento.
“Sì, non sono ancora molto brava tecnicamente. Al momento attacco gli ostacoli tutti con la stessa gamba. Dal prossimo semestre spero di riuscire a passare alla University of Texas at San Antonio, dove avrò una nuova coach, Jackie Richards, moglie di Kareem Streete-Thompson (ex olimpionico, vicecampione mondiale indoor nel salto in lungo a Lisbona 2001, ndr) che mi sta già facendo fare esercizi per imparare ad alternare gamba. Sicuramente all’università negli States mi preferiscono per i 400 ostacoli”. 

Come sei finita a studiare negli Stati Uniti?
“Fin dalle medie ho sempre voluto fare quest’esperienza, anche solo per imparare bene l’inglese. Quando sono partita, non sapevo nulla della lingua. Avevo scritto a un sacco di università, ma poi un mio amico, Diego Pettorossi (velocista, ha da poco corso in 20″45 sui 200 metri, ndr) che aveva fatto un master alla UTSA, mi ha dato i contatti del coach. Ho finito la stagione in Italia e poi ho vinto una borsa di studio sportiva completa per partire. Per tre semestri ho studiato arte, disegno e pittura. Ma pensando al mio futuro lavorativo ho deciso di cambiare con un corso in graphic design dall’anno prossimo”.

Fatou Kabo al Challenge di Brescia.


Com’è la vita da atleta negli Stati Uniti?
“Partivo da una società molto piccola, l’Atletica Carpenedolo, dove non abbiamo molti mezzi. Negli Stati Uniti cambia tutto a partire dal riscaldamento, è molto più dinamico, non si fanno neanche i giri di pista. E poi si fanno sedute di fisioterapia prima e dopo ogni sessione di allenamento. Abbiamo molte più tecnologie a disposizione: i patch riscaldanti, le macchine per la pressoterapia. E siamo sempre seguiti, anche alle gare, da un trainer (nel contesto statunitense non significa “allenatore”, come potrebbe far intendere la parola, ma si tratta di una figura più simile a un fisioterapista, ndr). All’inizio ho fatto fatica, perché era tutto diverso da quello che facevo in Italia, mi ci è voluto un semestre intero per abituarmici. Però poi ho notato una grande differenza nelle prestazioni”,

Come hai iniziato a fare atletica?
“Con i Giochi della Gioventù alle medie, che tra l’altro erano organizzati proprio da Giovanni. Non avevo mai fatto nessuno sport, ma ero veloce. Da lì mi sono proprio innamorata dell’atletica e non ho più smesso. È l’unico sport che ho fatto, credo sia stato amore a prima vista”.

Che altre passioni ha Fatoumata Kabo?
“Quella dell’arte, che ho preso da mio padre, Saliou. Dipinge, e casa nostra è piena di quadri suoi. Ho fatto mia questa passione e ho deciso di studiarla anche al liceo, che stava a Guidizzolo, in provincia di Mantova. Ma mi piace moltissimo stare all’aria aperta, forse perché sono cresciuta in mezzo alla natura”.

Fatou Kabo in azione.


Classe 2001, sei nata in Senegal. Come sei arrivata poi in Italia?
“Sono nata a Dakar e mi sono trasferita in Italia quando avevo 9-10 anni. Mio papà era qui già da tanti anni, invece mia mamma lo ha raggiunto dopo con mio fratello più piccolo. Io ho vissuto con i miei nonni – possiamo dire che sono loro che mi hanno cresciuta – in Casamance (la regione senegalese tra il Gambia e la Guinea-Bissau, ndr). Lì ero sempre circondata dalla natura, dagli animali e avevo modo di correre. Poi anche io e mio fratello più grande abbiamo raggiunto i miei. Adesso abbiamo anche una sorella nata in Italia”.

Ti ricordi il tuo arrivo in Italia?
“Ricordo il freddo (ride, ndr) perché sono arrivata verso settembre-ottobre, ed era la cosa più nuova per me, ma poi per il resto ero piccolina e non facevo caso a tante differenze, diciamo. Non sapevo nulla di italiano, ma in sei mesi, stando con i bambini, si impara. L’ho trovato più facile rispetto al francese, che parlo, oltre al wolof, la lingua nazionale del Senegal. È stato facile inserirmi, ero abbastanza curiosa con gli amici, con i vicini”

Adesso racchiudi diverse culture dentro di te.
“Mi sento di amarle tutte, senza distinzioni. Già in Senegal ho origini bainounk (un gruppo etnico e linguistico della bassa Casamance, ndr). Mi piace conoscere le differenze del mio Paese, quelle dell’Italia, conoscere altre sfaccettature delle persone in America… Conoscere altre culture e le persone attorno a noi è sempre bello, per me. Ogni tanto negli Stati Uniti mi dicono: ‘Che accento strano che hai’. E io rispondo: ‘Eh, parlo quattro lingue…'”. 

Sei più tornata in Senegal?
“No, è da 12 anni che non torno. Spero di riuscirci l’anno prossimo. Ovviamente sarà tutto cambiato, non sarà mai come me lo ricordavo quando ero piccola, ma non vedo l’ora di tornare. Ho molti parenti in Italia e anche in Francia, ma la maggior parte, tanti zii e i miei nonni, è ancora in Senegal”.

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