E’ stata una mattinata di emozioni contrastanti. La delusione per il quarto posto della staffetta 4×100, comunque capace di correre un ottimo 37″68, e la preoccupazione per la nuova colica di Gianmarco Tamberi hanno fatto da contraltare allo splendido bronzo di Andy Diaz nel salto triplo ma soprattutto all’argento di Nadia Battocletti nei 10.000 metri.
Dopo il beffardo quarto posto nei 5000 (con la telenovela legata alla squalifica della Kipyegon che avrebbe potuto farla salire al terzo posto), StraordiNadia si è riscattata (nessuno se lo aspettava così!) compiendo un autentico capolavoro di tattica e brillantezza.
Come più volte sottolineato dal papà coach, Nadia è stata bravissima a rimanere attaccata al gruppo di testa per poi, in una gara senza lepri né ritmi forsennati dall’inizio, giocarsi con abilità le proprie carte nel rush finale. L’ultimo chilometro corso in 2’52” ha fatto impressione, la volata ancora di più. Le più forti al mondo sono state lasciate sul posto dalla trentina di Cavareno (crono di 30’43″35, limati 8 secondi al precedente record italiano) e Beatrice Chebet, oro bis dopo i 5000, era lì a un tiro di schioppo.
E pensare che Nadia non doveva essere protagonista, secondo i piani iniziali di questa stagione, nei 10.000. E ha spesso raccontato di non averli preparati in maniera specifica. Il 2024 avrebbe invece dovuto prevedere i 1500 metri in appoggio ai 5000, ma poi non c’è stato il tempo di svilupparli appieno, anche a causa di un problema con le scarpe chiodate avuto a maggio.
Le qualità di mezzofondista completa, e dunque anche quelle veloci, sono però tornate utili nello strepitoso finale di cui è stata protagonista la portacolori delle Fiamme Azzurre. La rivista Let’s Run, analizzando l’argento di Nadia Battocletti, ha sottolineato stamani – dopo aver ricordato in modo insensato e stupidamente sospettoso la positività al doping del papà nel 1999 – come tra un paio di finaliste che le sono finite dietro ieri, l’azzurra avesse il miglior crono nei 1500 (4’03″44, ampiamente migliorabile in futuro), al cospetto del 4’06″94 della Kipkemboi, del 4’12″50 della Rengeruk e del 4’18″20 della Tesfay.
La medaglia di Nadia, la cui strepitosa volata è stata di certo favorita dai ritmi non forsennati delle prime fasi, è il frutto della crescita di un’atleta di fatto protagonista alle Olimpiadi già da due edizioni (non va dimenticato il 7° posto nei 5000 a Tokyo, all’età di 21 anni) e che interpreta il mestiere come pochi altri. E’ di questo avviso Francesco Panetta, uno dei mezzofondisti italiani più forti di sempre, che abbiamo interpellato proprio per commentare l’ennesima impresa di Nadia Battocletti, che nei 10.000 aveva già vinto il titolo europeo a Roma due mesi fa.
Francesco, Nadia Battocletti è l’esempio di come vada interpretato oggi il mezzofondo. Ha dalla sua il talento, ma per emergere servono anche altre doti.
“E’ l’emblema dell’atleta professionista e la sua Olimpiade era stata già straordinaria con il quarto posto nei 5000. Lei è cresciuta così tanto perché insieme a papà , al di là degli allenamenti, hanno saputo e sanno programmare gli appuntamenti più importanti. Dosando bene le energie tra cross e pista. Facendo le gare giuste, né poche né troppe. Ogni volta che indossa la maglia della Nazionale succede sempre qualcosa. Quante gare ha sbagliato negli ultimi anni? Forse una, al massimo due. “.
Insomma, un capolavoro di gestione.
“La sua è stata una progressione fisica ma anche mentale. Se arrivi alle Olimpiadi e te la giochi con le più forti è perché sei cosciente del percorso che hai fatto e consapevole di poter competere a certi livelli. Non tutti i mezzofondisti riescono a farlo. Tra quelli come Nadia, ci metto Pietro Arese”.
Si parla tanto del doppio picco di forma che si doveva raggiungere nel giro di due mesi, tra gli europei di Roma e i Giochi di Parigi. Nadia e Pietro sono la dimostrazione che si trattava di un’operazione possibile.
“Non era facile ma nemmeno impossibile. E’ chiaro che quando hai 24-25 anni puoi pensare di raggiungere più agevolmente i due momenti top. Ma il merito è tutto loro, perché sanno gestirsi e programmare alla perfezione la loro vita sportiva”.
E’ così che si arriva a vincere un argento in mezzo alle atlete africane, considerate irraggiungibili?
“Sì, passo dopo passo. A Parigi è come se Nadia fosse arrivata all’università passando per tutte le scuole. A quel punto, non ti spaventi di fare gli esami, anche con i prof più esigenti. E non dimentichiamoci della gara dei 5000, senza guardare alla medaglia mancata, perché chi arriva quarto, quinto o sesto alle Olimpiadi va solo applaudito e non si può mai parlare di fallimento”.
E’ stato un secondo posto di prepotenza: la Chebet non era poi così lontana.
“Nadia ha rischiato di vincere, non è stata surclassata nemmeno dalla medaglia d’oro. Ha fatto una volata superlativa. Ma, ribadisco il pensiero: anche la tattica fa parte della programmazione e del processo che le ha consentito di acquisire, per gradi, mezzi e capacità per esprimersi a quei livelli. Oggi rappresenta l’eccellenza nel mezzofondo azzurro, una campionessa del suo calibro penso che non l’abbiamo mai avuta”.
E chissà cosa potrà ancora combinare.
“I margini cronometrici sono enormi, soprattutto nei 5000 metri. A Parigi ha chiuso in 14’21”, a Roma aveva corso in 14’35”. D’ora in avanti, nei migliori meeting, potrà fare anche meno”.
foto Grana / Fidal