L’Olimpiade dell’atletica si è conclusa per gli azzurri con il bottino di tre medaglie, una d’argento (Nadia Battocletti) e due di bronzo (Andy Diaz e Mattia Furlani). Dalla regina degli sport sono però arrivati anche cinque quarti posti e altri piazzamenti che non sempre possono essere considerati come delusioni. Prendete Pietro Arese. Il suo ottavo posto con record italiano aggiornato nei 1500 metri a 3’30″74 assume un peso specifico rilevante e si innesta alla perfezione nel percorso di crescita intrapreso dal 24enne piemontese in forza alle Fiamme Gialle, alla prima esperienza a cinque cerchi.
Per Pietro è stata una stagione magica, se si aggiunge alla grande prestazione di Parigi il primo record italiano firmato a Oslo (3’32″13) e sottratto dopo 33 anni a Gennaro Di Napoli e la medaglia di bronzo agli Europei di Roma.
Pietro, direi che siamo davanti a un bilancio lusinghiero.
“Rientrare tra i primi otto alle Olimpiadi lo considero un risultato superiore a quello del primato nazionale. Ho coronato un sogno, arrivando a Parigi nella migliore condizione possibile”.
Sei sceso di un secondo e mezzo rispetto al crono di Oslo. E’ il prestigio della gara a consentire un miglioramento simile?
“Senz’altro, c’erano tutti i migliori e sin dall’inizio i primi hanno impresso un ritmo folle, tant’è che si è creato un piccolo gap tra me e loro. Ho proseguito con il mio ritmo, aspettando che rallentassero un attimo per tornare sotto”.
A questo punto c’è spazio per scendere anche sotto i 3’30” nel futuro prossimo.
“Direi proprio di sì, considerando il fatto che questo tempo è arrivato dopo tre turni di gare in cinque giorni. In gara secca, con maggiore freschezza, si può fare”.
Ma te l’aspettavi la vittoria di Hocker?
“Ero uno dei pochi ad averla pronosticata alla vigilia e diverse persone mi hanno preso per matto. Ma io ci ho corso insieme sia la batteria che la semifinale e poi ho rivisto al video questi due turni. Ho visto che correva facile. E in finale ha approfittato del tatticismo tra Ingebrigtsen e Kerr e li ha fregati”.
Per il norvegese è arrivata un’altra delusione dopo quella di Budapest.
“Secondo me tatticamente non ha sbagliato tantissimo. Credo che fosse convinto, con il suo passo, di poter stracciare gli altri ma ha avuto torto. Non avrebbe mai immaginato che potessero sorpassarlo in tre sul rettilineo”.
Col senno di poi, pensi che potevi fare ancora meglio o battezzare una scia diversa?
“Sono arrivato stremato, credo che non avrei potuto correre un millimetro di più. Ho fatto quello che dovevo fare ed è stato anche abbastanza semplice perché sono rimasto sempre in prima corsia. Tutti hanno rispettato la fila, non ci sono stati spintoni. E’ stata una gara molto pulita”.
Cosa vi siete detti con il tuo allenatore, Silvano Danzi, dopo il traguardo.
“Ci siamo abbracciati, consapevoli che la tappa di Parigi ha rappresentato la chiusura di un ciclo di lavoro lungo sei anni. Quando abbiamo iniziato, probabilmente non ci saremmo aspettati né di arrivare ai Giochi e men che meno una finale olimpica”.
Pietro Arese esce sicuramente rafforzato da quest’esperienza.
“Sono consapevole che da oggi si apre un nuovo ciclo in cui potranno arrivare risultati ancora migliori. Ci sono tutte le condizioni per crescere. Sono entrato nell’elite mondiale e voglio restarci. E il livello è talmente alto che d’ora in poi basterà un niente per salire di un gradino o scenderlo perché qualcun altro sarà andato più forte o avrà lavorato meglio”.
Era la tua prima Olimpiade. Che atmosfera hai respirato?
“Mi sono ritrovato all’interno di un ambiente utopico, nel quale tutto il mondo convive in un quartiere con un atteggiamento super socievole. Lì dentro sembra che il mondo possa non avere più problemi, ma sappiamo che le cose stanno diversamente. Se ciascuno di noi portasse dietro e nel profondo lo spirito olimpico, quello che va oltre le gare, allora, tornando, renderebbe casa propria un posto migliore”.
Parlando di mezzofondo, sei la dimostrazione che il doppio picco di forma tra Europei e Giochi era un esercizio difficile ma non impossibile. Come ci sei riuscito?
“Credo che la scelta giusta sia stata quella di concentrarsi tanto sugli allenamenti e fare qualche gara in meno. Ai Campionati italiani di La Spezia, ho deciso di correre i 5000 metri proprio prendendolo come una sessione utile a potenziare il lato aerobico. E a Montecarlo non mi avete visto brillante perché eravamo concentrati esclusivamente sul lavoro. Il segreto è stato quello di non strafare e di seguire alla lettera la programmazione iniziale, senza farci condizionare dalla medaglia di Roma. Gestire due eventi così ravvicinati significa lavorare in modo strategico. In questi casi, non contano solo le gambe, ma anche la testa e la pianificazione. E tutto ciò può avvenire solo con un binomio atleta-allenatore perfetto. Altrimenti è un attimo a perdere di vista l’obiettivo”.
Anche nei 1500 femminili è arrivato un record italiano. Merito di Sintayehu Vissa.
“Il suo forse vale più del mio, dal momento che Gabriella Dorio è stata una campionessa olimpica. Peccato che non sia bastato per andare in finale, questo mi è dispiaciuto. Però è un crono sintomo dell’ottimo stato in cui versa il nostro mezzofondo. E poi c’è stata una bella coincidenza”.
Cioè.
“Il 29 gennaio del 2023, a Padova, io e Sinta avevamo stabilito nello stesso giorno il record italiano indoor del miglio. Un anno dopo ci siamo ritrovati a essere di nuovo protagonisti a livello cronometrico. E alle Olimpiadi”.
Pietro, hai già raggiunto la piena maturità nei 1500 metri. Nel futuro pensi di allungare le distanze?
“Mai dire mai. E mi piacerebbe rifare un tentativo sulle siepi, che correvo fino agli under 20. Ci sarà tempo per decidere, il 2025 potrebbe essere un anno in cui sperimentare diverse cose”.
La tua stagione come prosegue?
“A fine mese dovrei correre a Losanna e a Chorzow. Poi tirerò il fiato e a settembre conto di finire anche la laurea magistrale”.
foto Grana / Fidal