“Una nuova alba, una nuova vita, un nuovo giorno“. Il testo di un post su Instagram, accompagnato da un’immagine con una palla ovale tra le mani, non lasciava spazio a molte interpretazioni. Tobia Bocchi è ormai un ex triplista.
Dopo quattordici anni di onorata atletica, il 27enne di Parma da due mesi ha voltato pagina. In tutti i sensi. Si è congedato dal Gruppo sportivo dei Carabinieri e ha cominciato la sua avventura lavorativa in un’azienda informatica che gli consente di operare anche da remoto, lui spinto da una grande passione per la materia, a tal punto da andare a studiare negli Stati Uniti. Tobia Bocchi da un paio di mesi non salta più in pedana. Ma corre sui prati di un campo da rugby. Ha riabbracciato il suo vecchio amore.
E allora lo abbiamo contattato per conoscere le motivazioni di una scelta così drastica. La Nazionale italiana perde uno dei protagonisti delle ultime stagioni in tema di salti. Bocchi fu quarto agli europei di Monaco 2022. Lascia senza essere riuscito a centrare gli obiettivi prefissati in questo 2024. In primis la qualificazione ai Giochi Olimpici di Parigi.
Tobia, come mai hai detto stop?
“I motivi sono molteplici. Non è una decisione che ho preso da un giorno all’altro ma è maturata nel corso di tutta la stagione, attraverso un’analisi attenta di costi e benefici. L’evento scatenante è di certo l’interruzione dell’attività di allenatore del mio coach, Renato Conte”.
Non hai valutato l’ipotesi di cambiare guida tecnica?
“In base alle mie riflessioni, avrei avuto solo due opzioni: Daniele Greco o Michele Basile. Sono sicuro che mi avrebbero accolto con favore. Ma sarebbero state entrambe soluzioni lontane da casa e io sono troppo attaccato a Parma”.
Poi cosa ha influito?
“La voglia di guardarmi intorno e intraprendere un percorso lavorativo nel settore in cui ho studiato (ha appena concluso la Laurea Magistrale in Ingegneria Informatica, ndr) e di cui sono un vero appassionato. Il mondo dell’informatica ha un mercato florido. Mi sembrava doveroso sfruttare anche il mio curriculum”.
C’è altro?
“Motivazioni economiche e tecniche. Con i Carabinieri ho avuto la possibilità di avere uno stipendio fisso, ma con l’atletica non c’è molto altro. Da ingegnere informatico sento di avere maggiori prospettive nel lungo termine. Dal punto di vista tecnico, credo di aver raggiunto il mio picco agli Europei di due anni fa. E di avere poche chance di imprimere un’altra marcia alla mia carriera, che poi si misura in campo internazionale cercando di salire sul podio. Ma per un po’ di anni credo che ciò sia impossibile”.
Perché dici questo?
“Per andare a medaglia nel triplo adesso serve saltare 17,70. I tre cubani che adesso gareggiano per le Nazioni europee (il riferimento è a Pichardo/Portogallo, Jordan Diaz/Spagna e Andy Diaz/Italia, ndr) non sono superabili. In questo contesto, non ho più visto un percorso per me. Lo so, non c’è mai stato un atleta che si è dimesso da un corpo militare e ha dato l’addio nell’anno in cui ha disputato un europeo. Ma a me sembra giusto così. Terminare la carriera prima che sia troppo tardi. Un anno fa ho stabilito il mio PB, avvicinando i 17 metri e 30. Nei prossimi anni anche se fossi riuscito ad arrivare a 17 e 35, forse anche a 17,50. Ma in termini di risultati, al di fuori dell’Italia, non sarebbe cambiato niente”.
Anche agli europei avevi tirato in ballo le federazioni, a proposito di quella prassi abbastanza consolidata nell’atletica che prevede il cambio di Nazionalità degli atleti, nel caso specifico quella dei cubani.
“Ho invocato un intervento della federazione internazionale. Se un atleta può rappresentare due Paesi diversi da un’Olimpiade all’altra, allora è inutile fissare certi limiti sulle partecipazioni alle manifestazioni. Per i prossimi anni, il podio degli europei rischia di essere formato da tre cubani. Non capisco come questo possa accadere. A me dispiace che la Federazione italiana abbia preso parte a questa vicenda”.
Ti sei sentito penalizzato nella corsa ai Giochi?
“Mi dispiace che la Fidal non abbia riposto fiducia nei giovani ma sia andata a fare mercato in giro per il mondo. Nessuno ne parla, ma tutti lo sanno. Nel 2021, forse eravamo gli unici al mondo ad avere quattro atleti sopra i 17 metri nel triplo: con me c’erano anche Dallavalle, Ihemeje e Forte. Ma anziché investire su di noi, coltivare il vivaio in casa e farlo crescere attraverso certe esperienze, la federazione ha preferito comprare come al calcio mercato un atleta fatto e finito pur di assicurarsi le medaglie e strappare applausi a fine anno, togliendo spazio ai propri giovani”.
Ma niente di personale contro Andy.
“E’ un ragazzo splendido e un atleta con qualità fuori dal comune. Ho avuto modo di parlare con lui e sono felicissimo che sia riuscito a tirarsi fuori da una situazione molto difficile per lui. Mi dispiace però che Fabrizio Donato abbia ricoperto un ruolo centrale nel suo cambio di nazionalità. Ha perso la mia stima, proprio perché era un idolo e ha sempre rappresentato un esempio da seguire. Avrei voluto che si mettesse nei panni di un giovane che vede davanti un posto in meno perché scavalcato da un atleta oggettivamente più forte nato e cresciuto in un’altra Nazione. Ribadisco la mia stima nei confronti di Andy, proprio per questo credo che avrebbe conquistato il bronzo a Parigi anche vestendo i colori di una Nazione con una minor presenza di triplisti di calibro internazionale. Questa vicenda non è più un mio problema, ma credo lo sarà per chi andrà a giocarsi quei tre posti”.
Lo sport continuerà comunque a far parte della tua vita grazie al ritorno nel rugby.
“Per l’atletica, dopo aver vinto il titolo italiano del triplo da cadetto, avevo abbandonato la palla ovale a 14 anni, quando frequentavo il primo anno di Liceo e partecipavo già ai raduni federali territoriali. Adesso gioco nel Rugby Parma, in Serie C, nel ruolo di ala. Tornare a uno sport di squadra è stato molto divertente. Nel lungo periodo spero tanto di poter fare il grande salto e raggiungere il gruppo che disputa la Serie A. L’atletica continuerò a vederla in tv, comodamente dal divano. Con le maggiori attenzioni per le gare della mia fidanzata (l’ostacolista Linda Olivieri, trasferitasi proprio nella città ducale a settembre per allenarsi con Fausto Desalu e coach Baccheri, ndr)”.
Lasciando l’atletica professionistica e iniziando a lavorare, hai anche lasciato i Carabinieri.
“Non è stata una scelta facile, anche per i tempi che corrono. Una persona importante che mi ha aiutato ad analizzare a fondo pro e contro di questa decisione è stata Nicola Ciotti. Ho dato le dimissioni dall’Arma il 30 settembre e sono stato assunto in azienda il 1° ottobre. E’ ancora presto per dirlo, ma non ho rimpianti. I cambiamenti che sono entrati a far parte della mia vita mi rendono felice”.
Ma cosa si porta dietro un ex saltatore dentro un campo da rugby?
“La consapevolezza motoria di un atleta è esagerata rispetto a quella di un rugbista. Così come la velocità, mentre loro hanno più fiato. Tutto il resto è apprendimento, a cominciare dalla struttura fisica diversa che esige una nuova costruzione in palestra. Dovrò poi lavorare sulla tecnica, sulla gestione del contatto, sulla capacità di muovermi con il pallone e di lavorare in una squadra composta da 15 giocatori che devono muoversi come se fossero un’unica entità”.
foto Grana / Fidal
foto di apertura di Colombo / Fidal