Filippo Tortu a “Un salto da”: l’oro olimpico, il rapporto con papà, la staffetta e… il mare

Il passato, il presente, il futuro. Il rapporto con il papà-allenatore. L’oro olimpico il punto fermo della carriera. E poi una serie di pensieri sulla vita da atleta, con alcuni aneddoti interessanti. C’è tutto questo, di Filippo Tortu, nella puntata del podcast itinerante “Un salto da” condotta da Federico Rana, on air domani mercoledì 29 gennaio e di cui vi proponiamo – per gentile concessione degli autori – un estratto con le dichiarazioni più significative dello sprinter brianzolo.

Sull’oro olimpico

“L’oro olimpico è in banca. Hanno provato ad entrare in casa mia e rubarlo, per due volte, ma era già lì al sicuro”.

“Poco prima di partire per Tokyo, ero stato a Roma da un mio amico, con cui abbiamo questa passione per le bibite gasate. Me ne ha fatta assaggiare una nuova al mandarino, che non avevo mai visto. Il giorno dopo torno a casa, e mi accorgo che il bar del campo di atletica in cui mi alleno le vendeva. Non me ne ero mai accorto, e mi son detto: “E’ un segno del destino, devo portarla a Tokyo”. E così ho fatto: l’ho soprannominata ‘la bibita della vittoria’ e prima della finale della staffetta l’ho distribuita a tutti i miei compagni in gara. Ha aiutato a stemperare un po’ la tensione. E alla fine abbiamo vinto!”

Sulla staffetta 4×100

Singolo e staffetta sono due cose diverse. A Tokyo alla finale della 4×100 ci arrivavo senza rimpianti, nei 100 avevo vissuto una grande delusione, ma era già acqua passata. Erano trascorsi solo due giorni, ma bisognava andare avanti. In quel momento la vivi come una tragedia, però ti rendi presto conto che le tragedie sono altre. Ero contento del mio percorso, di quello che mi aveva portato a correre quella gara, che non era andata come volevo. Nella staffetta però non avevo bisogno di riscatto. Al traguardo scoppio a piangere, ma non per qualcosa che mi portavo dentro. Ero soltanto felice. Felice di aver corso quella gara, di aver vinto una medaglia d’oro con i miei amici. Compagni, diventati amici”.

“Questo è il segreto del nostro movimento. Siamo un gruppo molto unito, passato tanto tempo assieme. Pranzi, cene…Colazioni un po’ meno, perché siamo sempre solo io e Fausto (Desalu) a svegliarci in tempo…”.

Filippo Tortu ai mondiali di Budapest dopo l'argento in staffetta.


Sui viaggi

“Quando viaggio, mi piace prendermi un souvenir sportivo. Solitamente la sciarpa della squadra di calcio locale. Oppure, quando mi capita di andare negli Stati Uniti, ‘saccheggio’ lo store della squadra locale di basket universitario. Se sono via per una gara, una volta finita mi piace tornare a casa. Se va male ma soprattutto se va bene”.

Su come vive le gare

“Quando una gara va male tendi a restare più solo, a chiuderti. Anche se in realtà, era più così nei primi tempi di carriera, negli anni ho imparato a separare di più le due cose. Ora riesco a lasciarmi alle spalle una gara andata storta, per prendermi un momento da passare con compagni o amici. Riesco a concentrarmi su quello che è andato male quando mi prendo il tempo per me, per farlo. Non so se sia una cosa positiva, se denoti maturità o meno. Mi fa star meglio. L’unico momento in cui mi ritorna in mente questa cosa, è prima di addormentarmi. Lì ripenso alla giornata di allenamento, alle gare che mi aspettano”.

Sul dare ascolto alla testa

“Nella nostra testa noi atleti vogliamo essere perfetti sempre, ma in sostanza non siamo perfetti mai. Dobbiamo quindi imparare a fare meno errori possibili, la gara perfetta non esiste. Nel nostro sport purtroppo i limiti sono ben definiti: se vai a gareggiare sapendo che hai un secondo di svantaggio rispetto all’avversario, sai già che è impossibile batterlo. E la cosa che mi piace è che ogni volta invece si gareggia senza dare ascolto a quella parte razionale, esiste solo una parte irrazionale che ti dice che puoi battere tutti. Io visualizzo solo la vittoria. Anche se nel mio caso sono più le volte che uno perde (ride, ndr). Poi subentra la parte razionale, ritorna per tracciare un bilancio. Non credo sia arroganza, quanto un bisogno necessario di credere in sé stessi e nei propri mezzi”.

Filippo Tortu e papà Salvino


Sul rapporto con papà Salvino

“Non c’è mai stato un dualismo papà-allenatore, lui è stato sempre bravo a separare i due percorsi. Conoscendomi bene, sa che tasti toccare, come comportarsi in alcune situazioni in pista. Per il resto, abbiamo sempre tenuto l’atletica fuori da casa. A volte ci capitava di litigare a casa, andavamo all’allenamento insieme e al campo tutto finiva in stand-by, per poi riprendere una volta rientrati…Lui mi ha sempre concesso molte libertà sulla vita da portare avanti, tra orari ed alimentazione. Mi ha però fatto capire, semplicemente, che se avessi voluto fare l’atleta, avrei dovuto fare le cose in un certo modo, soprattutto per raggiungere certi obiettivi. E io ho fatto la mia scelta, in maniera autonoma. Lui non ha mai avuto veramente bisogno di sgridarmi o controllarmi sotto certi aspetti, e magari le volte in cui ho sgarrato non mi ha mai detto niente”.

Sull’esperienza di Nanchino

“A 16 anni avevo subito un infortunio assurdo: quattro fratture scomposte, radio e ulna di entrambe le braccia, cadendo alla fine di una gara a Nanchino, per arrivare primo al traguardo. Qualche settimana dopo ho iniziato l’anno scolastico in una nuova classe. Era una situazione strana, per l’imbarazzo e la paura di non fare amicizie. In realtà ora i miei legami più solidi arrivano proprio da quei tempi del liceo”.

“Dell’Olimpiade giovanile a Nanchino ricordo la leggerezza con cui la vivevo. Un qualcosa che ho cercato di mantenere il più possibile anche nei Giochi ‘dei grandi’, anche se in quei contesti sai di avere più cose in gioco. Il contesto giovanile era più tranquillo, avevo fatto tante amicizie. Poi il finale è stato tragicomico, con l’infortunio e l’arrivo in questo ospedale cinese, dove ho visto di tutto…”

Sui record da battere

“I record a me non interessano. Non mi serve paragonarmi a cosa farà un altro atleta 50 anni prima o 50 anni dopo. Mi interessa confrontarmi con il mio avversario in pista in quel momento. E poi c’è il discorso del tempo personale, rispetto alla posizione, ai miei obiettivi e ai miei standard. Noi ci alleniamo tantissimo per abbattere qualche secondo. Però è una cosa che mi piace molto: sai che non hai possibilità di errore, che un centesimo o perfino un millesimo fa la differenza tra una vittoria e una sconfitta. Sei sempre sotto pressione, e a me questa cosa piace. Ovviamente c’è anche l’altro lato della medaglia: mi piacerebbe avere più gare, più momenti di gara, come può essere una stagione di calcio o di basket, ma ha anche il suo fascino”.

Il cambio tra Patta e Tortu.


Sull’atletica italiana

“L’atletica sta andando molto bene come sport. Non è più solo il caso di uno-due atleti ma è la squadra che sta ottenendo risultati ed è una cosa che a me fa molto piacere, perché è il movimento che sta portando interesse su tutto il mondo dell’atletica, che merita di essere seguito, perché è uno sport che porta tante specialità diverse. Copre tutti i gusti”.

Sulla svolta della carriera

“Se devo immaginare un momento che mi ha cambiato la carriera, è stato entrare nelle Fiamme Gialle della Guardia di Finanza, perché puoi vivere la tua passione da professionista. Ti cambia il modo di vivere, di ragionare. Entri in una nuova dimensione”.

Sul mare all’orizzonte

“Nel futuro mi vedo al mare. Al mare sto bene, e mi immagino di vivere lì, non so bene dove. Parlando con un mio amico poi, avevamo anche noi la voglia di fare qualcosa di itinerante. Ovviamente non ora, ma in futuro, tra tanti anni. Un po’ un ‘seguire l’estate’, in tanti posti diversi”.

La puntata di “Un salto da” su Filippo Tortu sarà disponibile a partire da domani, mercoledì 29 gennaio, sui canali Spotify e YouTube del progetto.

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