Domenica 23 marzo si correrà la 52esima edizione della Stramilano, che da pochi giorni è stata insignita del prestigioso riconoscimento World Athletics Heritage Plaque. Da circa tre decenni, il successo della mezza maratona maschile è un affare che riguarda gli atleti degli altipiani, con il Kenya a farla da padrone. L’ultimo in ordine cronologico Antony Kimtai, che lo scorso anno si impose in 1h00’31”. L’eccezione alla regola si verificò nell’ormai lontano 2002: dopo il poker di Moses Tanui, le sei affermazioni di Paul Tergat e la doppietta di Patrick Ivuti, arrivò lo straordinario trionfo di Rachid Berradi, mezzofondista azzurro che ad agosto compirà 50 anni. Fu l’ultimo successo di un italiano nella classica meneghina.
Rachid, come vivesti quella Stramilano?
“Provai una grandissima emozione e ogni anno questa gara mi ricollega con la mente a quel magico 2002. Tagliai il traguardo davanti a Charles Kamathi e a Marco Mazza, che era mio compagno di allenamenti”.
Qual è il rapporto che ti lega alla Stramilano?
“Il legame è forte. Sono tornato in altre edizioni, come nel 2005 e nel 2006. E ho continuato ad avere collaborazioni con gli organizzatori, come quando sono stato ospite con un gruppo di amatori di Palermo. I ricordi sono indelebili”.
Corresti in 1h00’20”, stabilendo il record italiano di mezza maratona che hai poi mantenuto per diciannove anni.
“Provenivo da un importante ritiro in altura svolto a Ifrane (Marocco), che doveva essere funzionale all’Eurochallenge sui 10.000 metri che poi saltai per infortunio. Mantenni la condizione e mi presentai a Milano tirato a lucido, riuscendo a spezzare l’egemonia degli africani. Fece notizia”.
Riportaci per un attimo dentro la corsa.
“Ricordo ogni centimetro della gara. Rondelli che mi seguiva in moto. Sapevo di poter andare molto forte ma non a quel livello. L’idea era chiudere in 1h01″ o quattro-cinque secondi in meno. Uscì fuori un tempo strepitoso”.

Cosa contribuì a quella giornata leggendaria?
“Il percorso era veloce, come da tradizione. E fin da subito avevo capito che poteva essere la giornata giusta per fare qualcosa di grande. All’ultimo giro i ritmi in testa erano altissimi. Eravamo rimasti in quattro: io, Mazza, Kamathi e Yuda. Arrivati a San Babila, sapendo di non essere il più veloce, anticipai la volata puntando comunque al podio e al record italiano”.
E poi?
“Quando ho cominciato a vedere il rettilineo del Duomo, mi sono girato e ho visto che li avevo staccati. A quel punto le energie fino al traguardo si sono moltiplicate”.
Fu la vittoria più bella?
“Sì, in assoluto. Un qualcosa che è rimasta nella storia. La Stramilano andava in diretta su Rai 2. Altri tempi…”.
Rachid Berradi corre ancora?
“Raramente. Magari ricomincio un mese e poi mi fermo per due. Non è ancora scattata quella scintilla del runner in età matura”.

A cosa ti dedichi?
“Sono rimasto nell’Arma dei Carabinieri, dopo la transizione dalla Guardia Forestale. Vivo a Palermo e mi occupo di promozione dello sport a livello giovanile. Fin da quando ho chiuso la carriera, ho sempre voluto dare un taglio più sociale che agonistico ai miei progetti. E da quando sono stato nominato Cavaliere della Repubblica italiana (nel 2021, dal presidente Sergio Mattarella per le iniziative volte alla promozione della legalità e al contrasto dell’emarginazione sociale, ndr) sento ancor più responsabilità per il mio ruolo e la mia attività”.
Come vedi il mondo del running oggi?
“Inutile sottolineare quanto sia in evoluzione, con il coinvolgimento della tecnologia che fornisce parecchi vantaggi agli atleti. In ogni caso, è un movimento in espansione. Anche Palermo è una città in fermento da questo punto di vista. I numeri degli amatori che corrono aumenta in maniera vertiginosa”.
E i runner azzurri?
“Dopo i bassi degli ultimi anni, stiamo entrando in una nuova era positiva, grazie ai risultati dei vari Crippa e Chiappinelli, il quale ha centrato il record italiano dopo un duro percorso di allenamenti e sacrifici fatti al Tuscany Camp. Anche i giovani ispirano fiducia, adesso è importante che siano sostenuti dalla Federazione”.
In che modo?
“L’ideale è che fossero accompagnati nel loro percorso senza doversi spostare dal posto in cui sono cresciuti e sbocciati o essere presi da altri tecnici. Se lasci il campione in erba a casa sua, mettendo a sua disposizione gli strumenti di cui necessita, questo può diventare un esempio per gli altri giovani del territorio e fare da traino all’intero movimento di una regione”.