Dentro la maratona di Torino: il racconto della prima volta di Pasquale Selvarolo

Come prima volta non c’è male. Se tutte le tessere del puzzle, con particolar riferimento alle condizioni di gara, si fossero incastrate per il verso giusto, forse si poteva fare anche qualcosa di più. Ma a Pasquale Selvarolo il debutto in maratona va benone così.

Domenica, a Torino, il 25enne pugliese delle Fiamme Azzurre è arrivato primo al traguardo dopo 2 ore 11 minuti e 13 secondi. Lo abbiamo raggiunto al telefono, appena rientrato nella sua casa di Andria, per commentare insieme a lui la prima gara sulla distanza dei 42K.

Pasquale Selvarolo, fino a domenica era stato campione italiano di cross e ottimo interprete della mezza maratona. Ora ha davanti un nuovo mondo. Le sensazioni sono positive, estremamente lucida l’analisi di tutti gli aspetti che hanno caratterizzato la sua prestazione.

Pasquale, te l’aspettavi così?
“A livello di postumi in realtà pensavo peggio, ma il recupero mi ha sorpreso. Non ho avuto crampi e sono riuscito anche a guidare tranquillamente prima verso Modena e poi verso la Puglia, dove passerò le festività natalizie. Ho chiuso la maratona in spinta, senza alcun tipo di affaticamento. Nel finale, a ogni chilometro, aspettavo il fatidico muro, ma non è mai arrivato e perciò esco rincuorato da questa prima esperienza”.


Spiegaci il progetto legato al tuo esordio sui 42K.
“Con il mio allenatore abbiamo deciso di tuffarci in questa nuova avventura in modo molto graduale, sacrificando i cross e sapendo che sarebbe cambiato molto a livello di preparazione, con tutti i tabù che la maratona comporta, a cominciare dai lunghissimi. Sarei potuto andare anche a Valencia, ma in quel caso ci sarebbero state troppe aspettative. Era giusto che quella di Torino fosse una prova e che assaporassi la maratona senza eccessi, anche durante gli allenamenti. Volevamo un esordio soft e abbiamo scartato soluzioni extra-italiane, anche perché era importante avere per strada anche alcune conoscenze che potessero stimolarmi e incitarmi”.

Quando hai deciso di correrla?
“Dopo la mezza degli Europei di Roma. Per come sono arrivato al traguardo, ho capito di aver raggiunto il livello di maturità giusto per gestire anche la distanza più lunga”.

Alla vigilia avevi dichiarato di avere come obiettivo quello di correre sotto le 2h10‘.
“Credo che un paio di fattori del contesto di gara hanno contribuito a determinare il mio risultato finale, anche se non devono essere delle scuse ma dati di fatto che servono ad analizzare la prestazione”.

Prego.
“Tengo a precisare che la maratona di Torino è una bella manifestazione, che meriterebbe numeri più grandi. Fatta questa premessa, devo ammettere che al di là dei quattro giri di boa piazzati lungo il percorso nell’ultima parte e che potevano leggermente rallentare il passo, il manto stradale era un po’ dissestato. Dal 32° km in avanti, il percorso era inoltre abbastanza impegnativo, con due-tre strappetti in prossimità del Parco del Valentino, dove abbiamo trovato anche la strada non pulitissima e con qualche radice. Anche a 500 metri dal traguardo, c’era una salitella insidiosa di 100 metri”.


Forse anche il contesto agonistico deve essere ancora migliorato.
“Ho avuto a disposizione due lepri. E secondo le previsioni, i tre keniani avrebbero dovuto migliorare il loro personal best, tra le 2h12′ e le 2h15′. Ma il piano è andato presto in fumo, perché al decimo chilometro hanno patito il freddo e io sono rimasto da solo con le lepri. A quel punto è cambiato il modo di interpretare la gara. La prima lepre si è spostata al 14° km. La seconda ha cominciato ad arrancare al 25° km e si è staccata al 28°. Da quel momento in avanti sono rimasto da solo. Alla mezza eravamo passati in 1h06′, la tabella con i pacer prevedeva il passaggio a 1’04″40. Nella prima parte ho perso dunque un minutino abbondante, ma ho chiuso in progressione ed è un dato incoraggiante”.

Anche le condizioni climatiche non devono averti aiutato.
“Ho sofferto tanto il freddo, nonostante qualche raggio di sole non credo che la temperatura si sia mai alzata oltre i 2-3 gradi. Avrei voluto togliermi qualche indumento dopo qualche chilometro, ma non ci sono riuscito. In alcuni tratti, stringevo le dita dei piedi perché perdevo sensibilità”.

Com’eri vestito?
“Di sopra tre strati: canotta intima tecnica, poi la maglia corta delle Fiamme Azzurre e infine la canotta azzurra da gara più manicotti e berretto. Sotto avevo i classici ciclisti”.

Capitolo preparazione: come te la sei cavata con i primi lunghissimi? Sappiamo che con Incalza spesso i lavori sono molto creativi e vengono suddivisi tra mattina e pomeriggio.
“Il lavoro più lungo l’ho fatto a due settimane dalla gara ed è arrivato nel giorno di lunedì alla fine di un blocco di lavoro iniziato il giovedì con 12×1000 e recupero 30″ fatto sull’erba con le chiodate. Il venerdì avevo fatto una doppia sessione di corsa da 30 km in totale, il sabato 17 km a 3’40″/km più 7 di cronoscalata con corsetta di scarico al pomeriggio. La domenica riposo”.

E siamo al fatidico lunedì.
“Ho percorso 47 km suddivisi tra mattina e pomeriggio. La prima sessione è stata di 26 km (20 a 3’40” più 6 di progressivo a 3’03”), la seconda di 21 km (15 a 3’40” e 6 di progressivo a 3’01”).

E con l’integrazione com’è andata?
“Non ne ho fatto un’ossessione. In una prima fase di preparazione ero a posto con acqua e maltodestrine, poi con Piero, nonostante non ne sentissi la necessità, abbiamo anche introdotto in modo forzato i gel per abituare il fisico all’eventuale assunzione. Domenica ho posizionato le mie bevande a ogni ristoro, cioè ogni 5 km. Al 15° e 30° km avevo acqua e gel, in tutti gli altri acqua e maltodestrine. Per distrazione, ho saltato quello del 15° km, ma sono riuscito comunque a prendere un bicchiere d’acqua poco più avanti. A livello energetico, in ogni caso, non ho avuto problemi”.

A colazione cosa avevi mangiato?
“Quattro fette di pane con marmellata di albicocche e una tisana ai frutti rossi. Era la stessa colazione fatta nell’ultimo periodo”.

Coi carboidrati come ti sei regolato?
“Nell’ultima settimana ho mangiato pasta sia a pranzo che a cena. E da giovedì sempre in bianco. La sera prima un piatto da 120 grammi”.

Il programma di Pasquale Selvarolo ora cosa prevede?
“Nella prima parte dell’inverno ci sarà sicuramente spazio per un lavoro muscolare importante dopo la maratona e per il ritorno ai cross, a cominciare dal Campaccio. Tra gli obiettivi ci sarà la riconferma del titolo italiano conquistato un anno fa a Cassino”.

E poi?
“A febbraio vorrei allenarmi in un posto caldo. C’è in piedi anche l’ipotesi Kenya. Ad aprile ci sono gli europei di corsa su strada. Potrei fare la mezza ma non ho ancora certezze. Se così fosse, potrebbe essere funzionale a una seconda maratona da correre a maggio. Ma nei prossimi giorni avrò modo di valutare tutto con il mio allenatore”.

Le foto di questo articolo sono di GetPica.com

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