Tra gli oltre 55 mila finisher (record mondiale per una maratona) che hanno completato domenica scorsa la maratona di New York c’è anche Elisa Brocard, la più veloce delle italiane con il tempo di 3h08’24”. Agli appassionati di sport il suo nome non è sfuggito: la valdostana di Gressan è l’ex azzurra di sci di fondo e ha alle spalle una lunga carriera in Coppa del mondo.
La Brocard, finita l’esperienza agonistica sulla neve, lo scorso anno, proprio a New York, ha coronato il sogno di correre la maratona. E quest’anno, pochi giorni dopo aver compiuto 40 anni, è tornata nella Grande Mela e si è pure migliorata, dal momento che dodici mesi fa aveva chiuso la gara in 3h09’51”.
Appena rientrata da New York, con il fuso orario ancora da smaltire, Elisa Brocard – che oggi allena i giovani del Centro Sportivo Esercito di Courmayeur – ci ha concesso una lunga intervista, parlando dei 42,195 km più ambiti per un runner e facendo interessanti parallelismi tra sci di fondo e maratona, di fatto due discipline che richiedono solida preparazione e soprattutto resistenza.
Elisa, che esperienza è stata, considerato che a New York c’eri già stata l’anno scorso?
“Nel 2023 avevo corso la mia prima maratona in assoluto, coronando il sogno nel cassetto che avevo fin da quando ero una fondista. Sinceramente pensavo di fare quella e basta. Invece ci ho preso gusto e le maratone concluse adesso sono diventate tre, compresa quella di Berlino del 29 settembre. In Germania avrei potuto fare meglio, considerato il percorso molto veloce, ma sono stata rallentata da un infortunio”.
Cosa ti è successo?
“A giugno ho scoperto di avere il menisco rotto. E quindi la preparazione estiva è stata molto approssimativa. A Berlino avevo infatti come unico obiettivo quello di arrivare. Ci sono riuscita in 3h16′. Allora ho deciso di tornare a New York. Ma non immaginavo di migliorare il tempo dell’anno scorso. Sono arrivata negli Usa senza pormi obiettivi”.
Con un menisco rotto come ci si gestisce in vista di una maratona?
“Ho dedicato molto tempo al rinforzo e al riposo. Nel periodo iniziale, quello dell’infiammazione acuta, ho centellinato al massimo le corse. Il dolore si faceva sentire. E tra un’uscita e l’altra facevo passare anche tre-quattro giorni. In mezzo ho fatto un’infiltrazione e poi tanto lavoro di rinforzo in palestra, l’aspetto che mi ha aiutato di più. Tanto è vero che a Berlino non avevo accusato problemi. Quello che mi è mancato era un mese e mezzo di programmazione”.
E adesso?
“Continuerò a gestirmi e a tenere il ginocchio sotto controllo. Il mio obiettivo è quello di fare tutte le major, che con Sydney sono diventate sette. Intanto devo pensare ad arrivare bene alla prossima, in primavera vado a Londra. Il tris a New York? Si torna sempre volentieri in quella città, ma non credo di che nel 2025 ci andrò per correre la maratona, considerando che non era prevista neanche una seconda partecipazione”.
Che preparazione hai fatto per la maratona della Grande Mela di quest’anno?
“E’ stato un avvicinamento anomalo, perché condizionato dall’infortunio. Da Berlino in poi, nelle cinque settimane di intervallo, ho cercato di mantenere la forma dell’ultimo periodo. Sono però riuscita a fare due lunghi e qualche lavoro specifico con i cambi di ritmo. Lavorando come allenatrice di fondo, ho anche trascorso una settimana in quota allo Stelvio. Lassù non me la sono sentita di rischiare con la corsa, perché ci sono molti saliscendi. Ma un paio di volte mi sono allenata sugli sci”.
Proviamo a scendere nel dettaglio di qualche lavoro.
“L’idea è sempre stata quella di non sovraccaricare il ginocchio. Ho replicato le tre uscite a settimana fatte prima di Berlino, mettendoci in mezzo la bici, il nuoto e la palestra una volta a settimana. Il primo lungo è stato di 30 km, il secondo di 35. Entrambi con un passo per nulla esagerato, di 4’45”-5′ al km, con qualche variazione inserita di tanto in tanto per annoiarmi di meno”.
Com’è stata la settimana di avvicinamento?
“Ho fatto l’ultimo lavoro di qualità una settimana prima, partecipando alla 7 Torri di Aosta, una gara di staffetta con il mio club di appartenenza, l’Atletica Calvesi. Poi solo corsette blande, soprattutto il giovedì, subito dopo il viaggio, e il venerdì. Sabato non ho proprio corso”.
E l’alimentazione a ridosso e durante la gara?
“Sabato sera ho cenato in un ristorante italiano. Un piatto di pasta al pomodoro. Domenica, la colazione alle 5 del mattino, quasi quattro ore prima del via, dal momento che ci aspettavano la navetta e il ferry per Staten Island. Ho mangiato solo pane e miele e ho preso un thè. Durante la gara ho preso solo acqua ai rifornimenti e smezzato e gestito due gel”.
Raccontaci la prestazione di domenica.
“Sono partita abbastanza piano, ma strada facendo è ancora una volta venuto fuori l’agonismo che ho dentro quando indosso un pettorale. Ho corso a New York con un amico e ho seguito fin da subito il pacer disponibile per chi volesse completarla entro le 3h10′. A un certo punto l’ho perso di vista, ma nel finale ho visto che ero sui tempi dell’anno scorso e ho tenuto duro”.
Quanto c’è del tuo passato di fondista nella preparazione per la maratona?
“Di sicuro la varietà dei lavori, partendo dal presupposto che noi fondisti d’estate corriamo e facciamo tante altre attività. Oltre la corsa, io metto dentro la bici, lo skiroll e le camminate in montagna. Senza trascurare la parte di palestra”.
E a livello di volumi cosa puoi dirci? Quanti km percorre un fondista sulla neve durante una settimana rispetto a un runner che prepara la maratona?
“Un fondista ragiona a ore e non in km. Quando gareggiavo in Coppa del mondo, durante la fase di carico della preparazione estiva, arrivavo anche alle 23-24 ore settimanali. Nelle fasi di scarico, il volume scendeva a 10-12 ore e diminuiva ancora in inverno, in pieno periodo di competizioni. Ora però lo sci di fondo sta cambiando e le ore stanno aumentando. Posso dire che per quanto riguarda la corsa, prima di tuffarmi nel mondo delle maratone, non ho mai corso più di un ora e 20 minuti. Comunque un fondista percorre più chilometri di un runner”.
E’ più dura la 50 km di sci di fondo o la 42,195 km della maratona?
“La maratona lascia indubbiamente più strascichi a livello fisico. E lo dice una che ha fatto anche la Vasaloppet (la più lunga gara di sci di fondo al mondo che si corre in Svezia sulla distanza di 90 km, ndr). Nei percorsi di fondo c’è sempre il momento della discesa dove puoi un attimo rifiatare e far riposare la muscolatura nella fase eccentrica. Questo non avviene nel running. In discesa devi comunque continuare a spingere in condizioni sfavorevoli. Poi è chiaro che io le 50 le ho fatte con lo spirito agonistico e da pro’, quindi lo sforzo fisico e mentale erano maggiori”.
Cosa ti porti dietro nella maratona dallo sci di fondo?
“Ci ho pensato diverse volte. Credo la resilienza mentale. Ho preparato due maratone da sola e sono consapevole di aver maturato negli anni la capacità di sopportare la fatica che puoi avere solo quando sei un atleta che si allena tutti i giorni. Anche quando non ne hai voglia o stai poco bene. Lo sci di fondo mi ha dato questa forza. E il difficile della maratona è proprio la preparazione, specie quando devi fare i lunghi. Puoi farcela solo se sei predisposto a quel tipo di sacrificio o sforzo. Anche perché correre il giorno della maratona è poi più semplice. La gara passa rapidamente, ci sono un ambiente che ti circonda e l’adrenalina della prestazione. Parlando nello specifico della maratona di New York, credo che sia proprio quella più adatta a un fondista…”.
Ti riferisci alle caratteristiche del percorso.
“Spesso il punto di forza di un fondista è la capacità di fare la differenza nelle salite. A New York sono richieste doti muscolari importanti, sia nell’attraversamento dei ponti ma anche nel finale ondulato di Central Park. Chi è abituato a correre sempre sul piano, al primo cavalcavia può andare in difficoltà. Io mi sono trovata a meraviglia, chiaramente avvantaggiata dal pregresso. La mia è infatti una corsa molto potente ed è anche per questo che tra un’uscita e l’altra mi dedico alle attività alternative. Da ex sciatrice, non posso sovraccaricare troppo le articolazioni. E ora bisogna tenere conto anche dell’età…”.
La corsa, per te, riveste da sempre un ruolo speciale.
“Da giovanissima ho praticato atletica su pista. Ho iniziato con la marcia, poi da cadetta correvo i 600, i 1200 e i 2000 metri, mentre da allieva 400 e 800. Sono innamorata dell’atletica. L’anno scorso sono andata anche a Budapest per assistere ai mondiali”.
Dunque, con le maratone, Elisa Brocard è tornata al passato.
“Da quando ho smesso l’attività agonistica con lo sci di fondo, ho sempre pensato di volermi dedicare al running in modo amatoriale, puntando sul divertimento. E ho avuto la fortuna di diventare una Asics FrontRunner. L’ingresso in questa community mi ha dato uno slancio in più per coltivare questa passione. Ho conosciuto nuove persone e sono felice di condividere insieme a questo team l’idea che la corsa sia un mezzo per stare bene dal punto di vista fisico ma soprattutto mentale”.
A proposito di Asics, chiudiamo con una battuta sulle scarpe che hai utilizzato a New York.
“Le Metaspeed Sky Paris. Molti dicono che siano adatte solo per i ritmi molto veloci ma io mi trovo a meraviglia anche correndo con un passo non sostenuto, considerato che a New York la mia media è stata di 4’27” al km. Queste scarpe danno una grandissima spinta e l’ultima versione è stata migliorata di tanto. E, aspetto da non sottovalutare, lunedì mi sono svegliata senza dolori ai piedi”.