Filippo Randazzo e la nuova vita da sprinter: “La mia carriera aveva bisogno di una sterzata”

Sfumata di un soffio la possibilità di disputare la seconda Olimpiade, Filippo Randazzo si è trovato davanti a un bivio. Continuare a saltare, alle condizioni precarie degli ultimi tempi, sarebbe stato impossibile.

E allora il siciliano delle Fiamme Gialle, 29 anni da compiere a fine aprile, si è voluto regalare una nuova chance per non dover indirizzare verso il tramonto la carriera, nonostante proprio il 2024 l’avesse visto tornare due volte sopra gli 8 metri.

Filippo Randazzo ha parlato con Carmelo Giarrizzo, l’allenatore che a Valguarnera l’ha sempre seguito, e insieme hanno contattato Filippo Di Mulo, il responsabile della velocità azzurra che fa base a Catania e che oltre a Matteo Melluzzo, da quest’anno ha accolto nel proprio team anche Alessia Pavese.

Il resto è cronaca recente di un riscontro cronometrico per la verità non annunciato: al Memorial Giovannini di due settimane fa, Randazzo ha sfrecciato nei 60 metri in 6’63”, precedendo proprio il collega di allenamenti Melluzzo e Samuele Ceccarelli. Come prima volta per uno votato esclusivamente alla velocità, niente male. L’europeo indoor di Apeldoorn potrebbe pure essere dietro l’angolo. Lo standard è distante appena tre centesimi…


Filippo, ti aspettavi di essere a questo punto?
“Per me è tutto nuovo, non ho molti parametri di riferimento e non sapevo esattamente di valere questo crono, al di là delle sensazioni che ho in allenamento e dei riscontri avuti sin qui lavorando al fianco di Melluzzo. Esordire in 6’63” è stata una bella sorpresa”.

Facciamo un passo indietro e torniamo alla tua scelta di accantonare il lungo e dedicarti allo sprint.
“Quello attuale è il tentativo di rimettermi in piedi dagli acciacchi degli ultimi anni. Ho chiuso il 2024 con un fisico distrutto, portandomi dietro una serie di problemi cronici. Ho capito di dover dare una sterzata alla carriera, perché continuando a fare il lungo avrei accorciato ogni prospettiva”.

Spiegaci quali sono i problemi fisici che ti hanno attanagliato.
“Combatto da tempo con frequenti infiammazioni ai tendini d’Achille, e dal 2022, dopo un infortunio in staffetta, ho cominciato ad avere problemi al ginocchio, dov’è presente una condropatia, e alla schiena. E’ chiaro che anche la corsa non è esente da traumi, ma sono acciacchi che ora tengo meglio sotto controllo, oltre alle minori botte che prendo senza gli atterraggi sulla sabbia”.

Con Di Mulo siete partiti da zero?
“Un lunghista si allena tanto sulla velocità, anche se in maniera meno specifica. Da settembre corro di più ma soprattutto sto lavorando sulla tecnica di corsa e sulle andature. Nel lungo tieni le ginocchia molto più alte e il richiamo del piede è meno frettoloso. Diventare un velocista a tutto tondo sarà difficile, ma voglio adattarmi il più possibile”.


L’idea quando è nata?
“Ce l’ho in testa da un bel po’. Già nel 2021, l’anno della mia partecipazione ai Giochi di Tokyo nel lungo, avevo corso in 10″23 i 100 metri e battuto Patta, che aveva vinto l’oro olimpico, a fine stagione. Quell’idea non è stata poi messa in pratica. Anche perché correre a quella velocità significava, facendo due conti, poter aspirare a saltare 8,50 metri. Misura che però non è mai arrivata”.

L’anno scorso però, senza il pass per Parigi, i nodi sono venuti al pettine.
“L’unico obiettivo era tornare alle Olimpiadi e cercare di migliorare l’ottavo posto di Tokyo. Una volta sfumato, c’è stata la presa di coscienza. Con coach Giarrizzo abbiamo concordato almeno per un anno di cambiare rotta, per riprendermi dai dolori. Fare il lungo a queste condizioni non avrebbe senso. Non puoi saltare solo in gara”.

Chi ti sta intervistando ha nella mente l’immagine di Filippo Randazzo afflitto da un pianto inconsolabile sul ciglio della pista di La Spezia, ai campionati italiani di fine giugno. C’era tutta l’amarezza per non avercela fatta?
“Fino a quando hai l’obiettivo in testa, sopporti il dolore, gli allenamenti fatti male, i sacrifici. Ho tenuto duro tante volte, senza abbattermi. Quel giorno mi è crollato tutto addosso. E credo anche di essere stato molto sfortunato agli europei di Roma, finendo fuori dalla finale per un solo centimetro con la misura di 7,94. Se fossi passato, avrei preso tanti punti per il ranking e forse oggi parleremmo di un’altra storia. Ma è andata così, non ho rimpianti”.


Quanto è importante allenarsi a Catania in un gruppo che annovera l’attuale terzo uomo più veloce d’Italia dopo i mostri da sub-10″ Jacobs e Ali, oltre alla tua compagna, Alessia Pavese?
“Catania è una città tranquillissima e uno sprinter ha davvero tutto quello che gli serve. Avevo bisogno di un ambiente stimolante, in più ci alleniamo su una pista nuova di zecca come quella del Campo Scuola di Picanello e abbiamo a disposizione una palestra eccezionale come quella del Cus. Da siciliano non posso poi che sottolineare le temperature miti, ideali per allenarsi durante la preparazione invernale”.

Quando ti rivedremo in gara?
“Sabato 8 febbraio a Lodz, ci saremo sia io che Melluzzo. E probabilmente ai campionati italiani di Ancona”.

Gira voce che potresti aggiungerti alla lunga lista di uomini arruolabili per la staffetta del prof…
“Magari lui l’idea in testa già ce l’ha, io per il momento preferisco procedere per gradi. La mia priorità è quella di stare bene fisicamente e correre forte. Visto l’inizio indoor, c’è la possibilità di centrare il minimo per gli europei e questo significherebbe stare dentro alla staffetta del giro. Per la 4×100 c’è tempo. Come sapete tutti, lì non è solo questione di cronometro ma anche di saper fare bene i cambi e lavorare in un certo modo ai raduni. Magari ad aprile torneremo a parlarne”.

foto Memorial Giovannini di Chiara Montesano

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