Il lungo per la maratona, sentiamo Piero Incalza: “Mai correrlo lentamente”

Nella preparazione della maratona, una delle sedute di allenamento più rilevanti è senz’altro quella del lungo, lavoro specifico che a ridosso del grande evento (di norma, tre settimane prima della gara) può diventare anche lunghissimo e ha lo scopo di abituare il fisico a reggere i chilometri che si dovranno percorrere il giorno della gara. Fisico che a un certo punto dovrà necessariamente reintegrare gli zuccheri consumati e attingere ai grassi per poter completare lo sforzo e giungere al traguardo.

Abbiamo scambiato un botta e risposta sul lungo insieme a Piero Incalza, pugliese di stanza a Modena, allenatore, tra gli altri, di Pasquale Selvarolo e Alessandro Giacobazzi.

“Quando si parla di lungo – spiega Incalza – occorre innanzitutto fare una distinzione tra atleti élite e amatori. Quest’ultima categoria è rimasta per molto tempo convinta che il lungo dovesse essere corso lentamente e che una maratona andasse preparata attraverso incrementi di minuti o di chilometri di corsa. E così è passato per anni un messaggio sbagliato, ancora oggi ritenuto credibile: se vuoi essere sicuro di finire la maratona, allora rallenta”.

Un tipo di allenamento che si è rivelato controproducente per il runner.
“E’ fortemente sconsigliato insegnare al corpo di correre piano. Anche perché, spirito partecipativo a parte, anche in maratona c’è una classifica e arriva primo sempre chi fa il miglior tempo. Il 90% dei runner corre per migliorarsi, non per ritirare una medaglia di finisher. Il contrario sarebbe mortificante. In tutti gli aspetti”.


Quali?
“Andare piano significa depauperare l’organismo e rallentare il proprio indice metabolico. Sacrificare la parte contrattile e l’elasticità muscolare, la libertà di movimento, tutte le leve dell’apparato locomotorio che non stimolate non saranno in grado di recitare un ruolo in tema di prevenzione degli infortuni. Ma significa anche mortificare l’ampiezza di corsa, aumentare il contatto con il suolo e il tempo di volo, in sostanza tutta la parte di parametri meccanici e di coordinazione che andrebbero contro l’efficacia della corsa. Se vado piano in allenamento, andrò piano anche in maratona perché il mio corpo ha memorizzato una serie di risposte che non sarà in grado di cambiare il giorno della gara”.

A proposito di preparazione e lavori di qualità, si parla tanto delle sedute a digiuno cui sottoponi i tuoi atleti.
“L’obiettivo è quello di stimolare il consumo di grassi ai fini energetici durante l’esercizio della corsa ad andatura sostenuta. Senza la ricarica della colazione, il sistema partirà da risorse limitate e presto i muscoli attiveranno il metabolismo lipidico, trovando così le energie dai grassi e risultando anche meno infiammabili. E’ fondamentale però che si facciano tanti chilometri alla velocità vicina a quella di gara, per verificare la potenza del metabolismo attivato. Lo scopo è quello di abbinare quantità e intensità, senza scorte di energia”.

Nelle tue tabelle, il lungo viene spesso fuori dalla somma dei lavori di qualità svolti tramite doppi giornalieri. I chilometri però si raggiungono eccome…
“Con il doppio gli atleti hanno la possibilità di avere tra mattino e pomeriggio un importante momento di recupero nervoso ed energetico, e riescono a fornire una risposta motoria ideale, che somiglia sempre più a quella del gesto di gara. Poi non c’è solo la corsa, ma altre esercitazioni utili a richiamare le proprietà neuromotorie”.

Lo strumento di valutazione privilegiato in chiave maratona rimane il medio variato?
“Decisamente. I miei atleti, di norma, corrono un volume complessivo di 20 o 30 km, con ripetute corse a un ritmo leggermente superiore a quello di maratona intervallate dal recupero alla velocità di gara. Ed è proprio la frequenza cardiaca registrata nella fase di recupero, a dire se l’atleta è pronto a correre al ritmo di gara programmato durante la preparazione”.

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