Ci sono storie di sport che non sono solo storie di sport. Sono storie che segnano un’epoca, che molto spesso la annunciano, specchio dei tempi e della società.
L’atletica, con il suo carattere di universalità e di portatrice dei valori olimpici, di storie degne di essere raccontate ne ha davvero offerte tante. E a venti di queste si è dedicato nel suo ultimo libro Nicola Roggero, telecronista storico (e competente) di Sky Sport, voce dell’atletica leggera.
Il lavoro del giornalista si chiama “Storie di Atletica e del XX Secolo” ed è edito da Add. Merita considerazione proprio per la scelta di narrare nei dettagli il significato di imprese in pista che hanno poi superato i confini del gesto sportivo.
Nicola, quando è nata l’idea di questo libro?
“Nell’estate del 2022 sotto proposta dell’editore Stefano Del Prete, che mi chiese di scrivere un libro sull’atletica. Allora ho pensato che si poteva fare qualcosa che mettesse insieme questo magnifico sport e la storia. D’altronde, queste due materie vanno da sempre d’accordo e interessano l’intero globo. Tutti possono correre, saltare, lanciare. Da lì l’idea di raccontare i fatti politico-sociali di vari Paesi accaduti nel ‘900 e agganciarli alle storie di atletica: dai nativi americani fino al dolore e disagio che stanno vivendo gli atleti ucraini”.
Infatti pagina dopo pagina c’è spazio per i grandi temi culturali.
“L’atletica è uno sport che coinvolge veramente tutti i popoli. E ha proposto storie di razzismo, di diritti civili, situazioni figlie di realtà economiche, ha accompagnato l’indipendenza dei Paesi Africani. Spesso si parla dei boicottaggi Usa-Urss delle Olimpiadi 1980 e 1984. Ma si parla poco invece del primo boicottaggio, quello dei Paesi Africani nel 1976. A molti è passato inosservato, specie negli altri sport. Per l’atletica fu importantissimo, considerati i tanti atleti di grido provenienti dal Continente”.
Raccontaci com’è stato scriverlo e come hai lavorato per recuperare i dettagli delle venti storie.
“Avevo individuato delle storie, iniziando a documentarmi su di esse. Ma la cosa incredibile è che man mano che le trattavo, saltavano fuori altre storie marginali che meritavano di essere narrate. Partivo da uno schema ma finivo sempre per distaccarmene. Ho cominciato a scrivere a novembre dell’anno scorso e l’ho consegnato a marzo 2023. Oggi Internet è uno strumento molto utile per approfondire le vicende. E ho capito cos’era successo realmente soprattutto consultando gli articoli dei giornali anglosassoni”.
Parlaci un po’ di queste storie interessanti che hanno catturato il tuo interesse.
“A proposito delle Olimpiadi del ’36 sarebbe stato facile parlare di Jesse Owens. Eppure mi ha colpito la storia di Tinus Osendarp, medaglia di bronzo ai Giochi di Berlino nei 100 e 200 metri, all’epoca il miglior velocista europeo. Nel 1940 aderì a L’Aia al movimento delle SS olandesi e segnalò agli aggressori tedeschi diversi dissidenti, resistenti ed ebrei. Dopo la guerra, venne arrestato e condannato a 12 anni di reclusione per crimini contro l’umanità”.
E poi c’è la questione afro-americana.
“Non poteva mancare il capitolo sul pugno nero alzato in segno di protesta di Tommie Smith e John Carlos a Messico ’68. Ma in pochi sanno che quel pugno lì viene da molto lontano, in particolare da un attentato al coro di una Chiesa battista di Birmingham compiuto dal Ku Klux Klan ed è parte di un filo conduttore che lega Muhammad Alì, il Vietnam, il suo incontro con Malcom X e il summit di Cleveland dove gli Afro-americani capirono di poter fare la storia al di fuori dello sport”.
Quali storie racconteresti dell’atletica contemporanea?
“Sicuramente le realtà che riguardano i Paesi poveri che nell’atletica riescono ad emergere. Penso oggi alla Giamaica o all’Etiopia. Oltre a tante storie di immigrazione e integrazione. Prendete la squadra italiana: è l’unica nazionale dove il 30% è composto da ragazzi non nati in Italia o figli di immigrati. Ma non ci fa caso nessuno, non è un dato interessante sul quale disquisire. Essi rappresentano l’Italia, punto e basta. L’atletica ha capito prima di tutti dove andremo a parare. L’atletica ha abbattuto le barriere e in un certo senso è uno sport capace di anticipare il mondo”.
Qual è la specialità dell’atletica che più ti affascina?
“Senza dubbio i 1500 metri, la traduzione del miglio britannico. Rappresentano la classicità dell’atletica. Poi il salto in alto, perché un ragazzo dell’Oregon (Fosbury, ndr) a un certo punto si è inventato un nuovo modo di saltare, e il salto con l’asta, composto da tanti gesti. Trovo di una bellezza infinita anche i 400 ostacoli. E’ la gara più musicale, come assistere a una sinfonia, oltre che molto elegante. E io ho adorato Edwin Moses”.
Per il 2024, in chiave azzurra, su chi c’è da scommettere?
“Gimbo Tamberi è una certezza. Nessuno riesce ad esaltarsi in un contesto agonistico come lui. Ed è il suo curriculum a offrire le maggiori garanzie. A mio avviso, Marcell Jacobs tornerà molto forte. E mi aspetto molto dai più giovani, da Larissa Iapichino a Mattia Furlani, passando per Leo Fabbri e Pietro Arese. Ma ormai siamo una squadra solida, capace di portare in fondo tutte le staffette”.
Gli Europei di Roma sono una ghiotta occasione per prendersi delle soddisfazioni.
“Ci sono tutti i presupposti per una grande manifestazione. Sono sicuro che avremo un bottino in doppia cifra, dalle 12 alle 15 medaglie. Folorunso e Derkach sono le atlete che sono cresciute di più e potranno confermarsi ad altissimi livelli”.
Che idea ti sei fatto dei tanti cambi di guida tecnica avvenuti tra settembre e ottobre nell’anno preolimpico?
“Non ne farei un dramma. Gli atleti che hanno deciso per il cambio di allenatore si saranno resi conto di avere bisogno di esperienze nuove e che non potevano più rimandare questa necessità. A un certo punto, come in tutti i rapporti di coppia, la scintilla sarà venuta meno e a quel punto manca anche la fiducia”.
Foto Dosso e Folorunso di Fidal