A un certo punto la maturità di un atleta si misura anche dalla lucidità di analizzare ogni singola fase della propria carriera in modo da prendere le scelte più adeguate all’età e al contesto. Una dote che sicuramente non manca a Davide Re, che ha deciso di riorganizzare in modo saggio il finale di partita tenendo conto di più fattori, interni ed esterni all’atletica.
Il 2024, per il quattrocentista piemontese, è stato un anno amaro. Re si è visto sfumare la possibilità di essere competitivo alle Olimpiadi di Parigi, funestato da un tendine che è tornato a presentare il conto nel momento meno opportuno e che gli ha consentito a malapena di presentarsi in batteria, senza però poter correre i ripescaggi.
Il lungo stop, la mancata partecipazione agli Europei, il ruolo di semplice comparsa ai Giochi hanno imposto delle riflessioni e generato un cambio di prospettiva e di obiettivi sul futuro di Davide Re. Dalla guida tecnica allo studio.
Davide, innanzitutto come stai?
“Ieri ho effettuato una risonanza e l’infiammazione, anche grazie al fatto che non mi sono più allenato negli ultimi due mesi, non c’è più. Adesso bisogna verificare alla ripresa degli allenamenti che tutto sia a posto, ricordando che la tendinopatia da sovraccarico di cui ho sofferto riguarda sempre il tendine d’Achille destro. È un problema cronico che mi trascino dal 2020. E la cicatrice conseguente alla lesione degenerativa andrà tenuta sotto controllo”.
Voler a tutti i costi tornare ad altissimo livello lungo la strada verso le Olimpiadi ti è costato caro.
“Era un anno da o la va o la spacca. Ho forzato parecchio in prospettiva Parigi, tanto che la condizione a fine primavera stava crescendo in modo esponenziale. Ma i duri allenamenti hanno provocato un’edema osseo da stress. Non mi sono fermato, c’erano gli Europei e le Olimpiadi. Ho corso con il dolore e in questi casi, anche inconsciamente, cambia il modo di correre e cambiano gli appoggi. In questo modo il tendine d’Achille è stato nuovamente sollecitato e la tendinite si è riacutizzata”.
Proprio quello che non ci voleva.
“Sapevo che quella di quest’anno, a 31 anni e con alle spalle infortuni frequenti, poteva essere l’ultima Olimpiade. Ci ho provato con tutte le mie forze, non sapendo quanto il mio fisico potesse reggere. Ma non volevo avere rimpianti. Stava andando bene, durante i lavori, i dati portavano ai PB in tutte le distanze. Anzi, sono sicuro che avrei fatto dopo cinque anni (44″77 di Le Chaux-de-Fonds, ndr) il mio personale sui 400 metri”.
Una bella mazzata insomma.
“Avevo lavorato benissimo, sono arrivato a ridosso delle gare con la bava alla bocca. Sapevo di avere un’ultima cartuccia da sparare. Quando alla vigilia delle World Relays ho capito che era successo di nuovo il patatrac, non è stato facile digerire la certezza di aver buttato una stagione”.
Dopo tre anni in cui hai vissuto la preparazione olimpica in Svizzera alla corte di Flavio Zberg, hai perciò deciso di tornare in Italia, a Torino.
“Mi sono allenato in un grande gruppo e non ho recriminazioni. Il mio cambio è legato a una serie di scelte che non hanno a che fare solo con l’atletica e che ho concordato con le Fiamme Gialle”.
Prima di tutto l’università.
“Ho ricominciato a seguire le lezioni a Medicina. Sono al sesto anno fuori corso, ma è come se fossi al quarto, con il vantaggio di non avere più l’obbligo di frequenza se si escludono i tirocini in ospedale”.
E poi?
“Il prossimo anno mi sposo. La mia fidanzata adesso lavora a Torino, all’ospedale Le Molinette come chirurgo”.
Chi ti allenerà?
“Pasquale Porcelluzzi, che sta per andare in pensione (non allenerà più Ambra Sabatini, trasferitasi a Livorno da Fabrizio Mori, ndr). Seguirò le sue tabelle ma non sarà difficile per me spostarmi a Roma né per lui venire a Torino. In ogni caso ho a disposizione le strutture del Cus Torino e anche alcuni ragazzi per fare insieme una parte di lavori”.
Gli obiettivi del 2025 per Davide Re sono ridimensionati?
“Mi aspetta un anno di transizione. Voglio guarire al 100%, senza fretta e anche per questo salterò tutta la stagione indoor, che non è mai stato il mio forte. Considerati i tanti impegni e l’età che avanza, è giusto ricalibrare l’asticella. Non credo di poter ambire a una finale mondiale individuale. Ma a Tokyo voglio tornare a essere protagonista con la staffetta. L’obiettivo principale è quello di riprendermi un posto da titolare in una squadra che ha dimostrato di essere competitiva”.
A proposito di colleghi del giro di pista, questo è stato l’anno in cui un certo Luca Sito ti ha sottratto il record italiano.
“Luca è un grandissimo talento. Quel tempo lo abbasserà di sicuro. A proposito di cartucce, lui ne avrà ancora tante da sparare”.
A proposito di cronometro, nei tre anni svizzeri non sei riuscito a migliorare il tuo record personale. Che spiegazione ti sei dato?
“Quando sono andato da Zberg, venivo già da stagioni complicate e da un anno fallimentare, se si esclude il 44″94 delle Olimpiadi. L’esperienza svizzera è stata condizionata dai tanti infortuni e dalla brillantezza che con il passare degli anni viene inevitabilmente a mancare. Il primo anno è stato utile per conoscerci e sicuramente sia io che Flavio abbiamo commesso degli errori sulla gestione degli allenamenti. Alcuni infortuni avrebbero potuto essere evitati. Il secondo anno è stato condizionato da una gastrite e da una lesione al polpaccio in primavera, e poi da un virus intestinale che ha condizionato la semifinale mondiale di Budapest corsa comunque in 45″07. Del terzo anno ho già detto tutto. Si dovevano raccogliere certi frutti e così non è stato. È giusto che fosse l’ultimo. E c’è da considerare anche l’aspetto economico: vivere a Zurigo con uno stipendio italiano comporta tanti sacrifici”.
La foto di Davide Re ai Giochi di Parigi è di Getty Images.