Pietro Riva: “A Valencia condizioni ideali. Parigi? C’è un ranking da ricostruire”

La mezza maratona di Valencia ci ha restituito un grandissimo Pietro Riva, capace di scendere sotto l’ora (59’41”) e di migliorare di un minuto il precedente personale.

Il portacolori delle Fiamme Oro, che da qualche anno si è trasferito a Rubiera per essere seguito dal campione olimpico Stefano Baldini, si è messo alle spalle in questo finale di stagione il brutto infortunio al piede che l’ha costretto ai box da maggio a luglio, facendogli di fatto saltare gran parte della stagione outdoor.

A 26 anni, Pietro Riva sta entrando nel pieno della maturità agonistica e ha tutte le carte in regola per regalare ai colori azzurri tante soddisfazioni, magari già agli Europei di Roma del prossimo giugno (nell’edizione di Monaco 2022, fu quinto nei 10.000 metri).



Pietro, cominciamo dalla fine: una mezza di Valencia davvero super.
“Mi aspettavo di scendere sotto l’ora ma non di così tanto. Sicuramente ho avuto condizioni meteo ideali, con 15°C e zero vento nel percorso che ad oggi è il più veloce del mondo. Capita poche volte in carriera una situazione analoga”.

Già a Riga, in occasione dei mondiali su strada, avevi dimostrato di essere sulla retta via.
“Dopo quella gara, ero molto contento del mio risultato. Poi, analizzandola a mente fredda, ho compreso di aver commesso alcuni errori, realizzando che avrei potuto correre meno di 1h01’06”. In realtà non ho seguito il gruppo giusto e sono rimasto da solo. E questo ha inciso sulla mia prestazione”.

Come hai preparato la mezza di Valencia?
“Dopo l’infortunio, la mia è stata una ripresa lenta e faticosa. Solo ad agosto e settembre ho ripristinato i carichi normali. Ho alternato volumi da 8 km e volumi da 20 km, per un totale di circa 150 km a settimana. E ho avuto ottime indicazioni soprattutto dai lunghi”.

Raccontaci il tuo infortunio e come l’hai superato.
“Ho avuto una lesione alla fascia plantare. Il tipico fastidio della fascite a un certo punto si è trasformato in fitte, a cui è seguito il rigonfiamento del piede. Non era solo un’infiammazione. Dopo una terapia antinfiammatoria, ho praticato un’iniezione di PRP: il sangue viene centrifugato in modo tale da isolare le piastrine e reinserirle nel punto della lesione per ottenere una rigenerazione diretta delle cellule. Poi la degenza è proseguita con le onde d’urto e un ampio programma di esercizi”.



E ora come stai?
“Un po’ di fastidio persiste, ma è controllabile. Ho il piede molto cavo e i carichi della corsa incidono. Poi dopo i campionati italiani, avevo una brutta vescica. Non mi sono fermato e ho continuato a correre con gli appoggi scorretti”.

Ti vedremo alle campestri?
“Il 2024, come sapete tutti, è ricco di grandi appuntamenti. E’ giusto mettere fieno in cascina adesso e preferisco rinunciare al cross, anche perché non è il mio terreno ideale. La prima gara dopo la preparazione invernale sarà sicuramente la BoClassic”.

Il prossimo anno dovrai guadagnarti anche la qualificazione ai Giochi Olimpici.
“Sono stato tutta l’estate fermo ai box e devo ricostruire il ranking. Centrare il minimo è praticamente impossibile, ma anche andare a Parigi dalla classifica non sarà semplice, considerato che per i 10.000 ci sono solo 27 posti. Servirà la gara giusta e un crono attorno ai 27 minuti e 30 secondi”.

Il mondo del running è stato travolto negli ultimi mesi dalle scarpe di nuova generazione. Qual è il tuo pensiero?
“Danno una grande mano, quantificabile secondo i miei calcoli sui 3 secondi al km. Bisogna poi considerare gli effetti indiretti: se riesci a usarle in allenamento, fai più qualità e vai ancora più forte. E poi c’è l’indiscutibile effetto placebo: ti dicono che con quelle migliori e tu hai uno stimolo in più”.



Tu quale scarpe usi?
“Sono un atleta Asics e in gara indosso le Asics Metaspeed Sky. In allenamento uso invece le Nimbus”.

Pietro Riva fuori dalla pista e dalla strada a cosa si dedica?
“Sono molto concentrato sullo studio, frequento la facoltà di Economia Aziendale. Mi piacerebbe spendere la laurea restando in Polizia, magari con ruoli diversi”.

Ma alla maratona ci pensi?
“Al momento voglio migliorare in pista e potenziare il mio motore. Quando sarò a fine corsa, ci farò un pensierino”.

Per un mezzofondista prolungato/maratoneta non africano al momento non sembra esserci molto spazio in campo mondiale. Conviene allora focalizzarsi sulle prove continentali? E come si trovano le motivazioni quando si corre in campo internazionale?
“Innanzitutto anche lo scenario europeo sta cambiando. Il livello si è alzato, anche a causa dei tanti atleti di origine africana. A mio avviso, sulle distanze lunghe e tattiche, l’atleta europeo o americano può ancora dire la sua. E’ chiaro che sui 5.000 o 10.000 metri, Ingebrigtsen a parte, diventa dura. Eppure io ho una voglia matta di fare i mondiali. L’importante è tirare sempre il meglio di se stessi”.

foto FIDAL




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