Gli azzurri sono andati più forte agli Europei rispetto alle Olimpiadi?
Chi è riuscito nell’arduo compito di trovare il doppio picco di forma tra i due eventi principali della stagione all’aperto, distanti tra loro appena due mesi?
Gli europei in casa prima dei Giochi e non, come solitamente accade, dopo, hanno stravolto il focus e gli obiettivi?
Rispondere a tutte queste domande non è semplice. La stagione è stata lunga per tutti ed è cominciata molto presto, se pensiamo, ad esempio, che gli atleti della velocità già alle porte di maggio sono stati costretti a viaggiare spediti ai mondiali di staffetta.
Tanti i mesi di lavoro e le gare sulle gambe, specie per coloro che dovevano ancora guadagnarsi gli standard per i due eventi. Gli staff tecnici sono stati messi a dura prova in sede di programmazione. E per la legge dei grandi numeri, è normale che alla fine qualcuno sia riuscito a far quadrare i conti e a presentarsi in condizioni spumeggianti ad entrambe le manifestazioni. Mentre altri hanno pagato le fatiche dell’Olimpico e della prima fase di stagione producendo delle controprestazioni a Parigi.
Le medaglie mancate non dipendono dal doppio picco di forma
Puntare forte sugli Europei di Roma, anche se nell’anno olimpico, non è stato affatto sbagliato. Da Nazione ospitante era doveroso farlo (semmai l’organizzazione avrebbe dovuto puntare sull’originale data di fine agosto e sfruttare il traino olimpico) e le 24 medaglie conquistate (nell’anno non olimpico sarebbero di meno) hanno rappresentato una bella vetrina per tutto il movimento e dato l’opportunità a diversi atleti di salire sul podio.
Alcuni di questi, bisogna essere onesti, anche riuscendo a ripetersi su altissimi livelli, probabilmente non avrebbero potuto giocarsi alcuna chance di medaglia alle Olimpiadi.
La sensazione generale è che le tre medaglie portate a casa rispetto alle 6/7/8 preventivate alla vigilia siano più il risultato di altri fattori. Circostanze sfortunate, vedi le precarie condizioni dei marciatori o le coliche di Gianmarco Tamberi. O Problemi tecnici e di approccio alla gara: è il caso di Lorenzo Simonelli e Leonardo Fabbri.
Vediamo ora un confronto tra le prestazioni degli azzurri agli Europei di Roma e alle Olimpiadi di Parigi, chiaramente da un punto di vista di tempi e misure individuali, senza considerare le posizioni al traguardo perché non reggerebbe alcun paragone per lo spessore delle competizioni in ballo.
Tortu e Sibilio: i conti non tornano
La nostra carrellata comincia da chi ha fatto qualcosa in meno rispetto a giugno. Chituru Ali era arrivato a Parigi con la voglia matta di fare il colpaccio e ripetere il sub-10″ di Turku, arrivato pochi giorni dopo lo splendido argento di Roma.
Allo Stade de France l’allievo di Claudio Licciardello ha invece corso in 10″12 il primo turno e in 10″14 la semifinale, mentre a Roma si era espresso in 10″05. Aumentano però i rimpianti per un suo mancato utilizzo nella staffetta 4×100, dove, tempi alla mano, l’anello debole è stato rappresentato da Filippo Tortu, non arrivato al meglio a Parigi. Nei 200 metri di Roma, il brianzolo aveva corso in 20″41 la finale ma soprattutto 20″14 la semi, mentre a Parigi il crono della semifinale si è fermato a 20″54.
Restando in tema velocità maschile, parliamo di Luca Sito, esploso in primavera allo Sprint Festival. Il suo crescendo l’ha proiettato in testa a tutte le gerarchie del giro di pista e a Roma gli ha permesso di stabilire anche il primato italiano con 44″75. A Parigi è arrivato sicuramente con un filo di stanchezza e non è riuscito a migliorarsi, seppur correndo tempi di rispetto: 44″99 in batteria e 45″01 in semifinale.
Lo stesso discorso vale per Catalin Tecuceanu, più volte vicino al record di Fiasconaro (il 12 luglio, a Montecarlo, 1’43″75) e bronzo all’europeo con 1’45″40. A Parigi, Tecu non ha sfigurato con l’1’44″80 in batteria e l’1’45″38 della semifinale, considerando che gli 800 sono spesso una gara dai diversi risvolti tattici.
Non è stato l’Alessandro Sibilio di giugno quello visto a Parigi, probabilmente condizionato dai piccoli fastidi che spesso e volentieri lo accompagnano durante la preparazione. Alessandro è uscito in semifinale con 48″79, tempo troppo alto per il napoletano che a Roma si era preso l’argento con 47″50, nuovo primato italiano.
Nella marcia, esclusi gli acciaccati Stano, Palmisano e Trapletti, non hanno brillato né Fortunato né Orsoni. Il primo, sull’anello attorno ai Marmi, aveva raccolto il bronzo chiudendo la 20 km in 1h19’54, ma a Parigi non è mai stato della partita e ha chiuso in 1h20’38”. Molto peggio ha fatto Riccardo Orsoni, preferito a Andrea Cosi nel terzetto olimpico, che ha chiuso in 1h25’08” al cospetto dell’1h21’08” di Roma, quando era arrivato sesto.
Zaynab Dosso a corto di energie
Passando alle donne, risaltano all’occhio i tempi di Zaynab Dosso, che già agli Assoluti di La Spezia aveva ammesso di essere molto stanca dopo una stagione che l’aveva vista protagonista ai mondiali indoor e poi già a Savona.
Agli europei, Zaynab si era superata correndo in 11″01 la semifinale (record italiano) e in 11″03 la finale. Poi la forma è calata e non è più riuscita a ritrovarla in chiave olimpica, come testimoniato dall’11″30 in batteria e dall’11″34 della finale.
Per nulla esaltanti anche i tempi nei 400 ostacoli. Ayomide Folorunso ha confermato di essere lontana parente rispetto a quella del 2023 e con il 54″92 di Parigi non è nemmeno riuscita a correre più veloce rispetto agli europei, dove in semifinale aveva corso in 54″52.
Non bene neppure Alice Muraro, la più forte azzurra del 2024 sulla distanza. A Parigi la campionessa italiana non si è avvicinata al tempo di 54″73 di Roma (e neanche al 54″86 di Marsiglia), chiudendo le proprie gare in 55″62 (batteria) e 55″48 (ripescaggi).
Rispetto agli europei, è scesa di un gradino anche Sara Fantini nel martello. A Roma aveva conquistato uno storico oro con 74,18, mentre a Parigi, dopo aver passato agevolmente le qualificazioni con 72,48, non è andata oltre i 69 metri e 58 della finale chiusa all’ultimo posto.
Jacobs, Arese e Battocletti puntuali come un orologio
Adesso vediamo invece gli azzurri che hanno confermato o migliorato le prestazioni degli europei. Non possiamo non partire da Marcell Jacobs, che è riuscito prima a vincere (probabilmente non al 100%) il titolo continentale (10″02) per poi andare in crescendo verso Parigi, dove ha eguagliato il 9″92 di Turku in semifinale e ha corso in 9″85 la finale. Anche stavolta, l’ormai ex campione olimpico ha messo d’accordo tutti, tirando fuori i migliori tempi nel grande appuntamento.
Lo stesso si può dire per Pietro Arese e Nadia Battocletti. Forti a Roma, ancora più forti a Parigi. Il piemontese allenato da Silvano Danzi, dopo aver colto il bronzo a Roma subito dopo il 3’32″13 di Oslo con cui aveva strappato il primato italiano a Gennaro Di Napoli, a Parigi si è superato, disputando la finale dei 1500 con il tempo monstre di 3’30″74.
Come un orologio, Nadia Battocletti non ha sbagliato niente nemmeno ai Giochi. Dopo la doppietta europea alla Antibo (5000 e 10.000 in 14’35″29 e 30’51″32), StraordiNadia ha colpito ancora sulla doppia distanza, arrivando quarta nei 5000 in 14’31″64 e seconda nei 10.000 in 30’43″35 con l’aggiornamento dei suoi record italiani.
Nel mezzofondo occorre sottolineare gli ottimi riscontri di Federico Riva, che nella batteria di ripescaggio dei 1500 ha firmato il personale di 3’32″84 salvo poi non ripetersi in semifinale (3’35″26, agli europei in casa aveva fatto 3’37” sia in semifinale che in finale) e di Sintayehu Vissa, che a Parigi ha strappato il primato nazionale sulla stessa distanza a Gabriella Dorio dopo 42 anni grazie al crono di 3’58″11. Vissa, a differenza di molti altri azzurri, ha puntato dritto sull’Olimpiade. A Roma è andata piano, eliminata in batteria con 4’11″12 ed ha cominciato a macinare prestazioni a partire dagli Assoluti di La Spezia.
Un po’ come successo a Stefano Sottile nel salto in alto. Agli europei non era comunque andato oltre i 2,26, poi a La Spezia si è preso il titolo italiano con 2,30 prima del capolavoro d’Oltralpe, quando ha sfiorato la medaglia con il personale di 2,34.
Furlani e Iapichino: parola d’ordine continuità
Ci sono poi i due giovani lunghisti che conoscono sempre di più la parola continuità. Mattia Furlani e Larissa Iapichino non hanno ancora raggiunto, per questione di età ed esperienza le misure monstre che prima o poi faranno, ma stanno sempre lì.
Furlani a Roma aveva preso l’argento con 8,38, mentre a Parigi ha acciuffato il bronzo con soli quattro centimetri in meno. Larissa, argento a Roma con 6,94, in Francia ha saltato 6,87, chiudendo ai piedi del podio.
Tra coloro che si sono migliorati rispetto a Roma bisogna segnalare Alice Mangione: per lei una stagione da incorniciare dal punto di vista cronometrico con il 51″34 corso in semifinale agli europei e il 51″07 del ripescaggio a Parigi che però non è servito per il passaggio del turno.
Non sono andate piano Elena Bellò ed Eloisa Coiro negli 800, entrambe sotto i due minuti a Parigi dopo un europeo complicato. La Bellò, che a Roma era stata eliminata in batteria con 2’02″75, è andata più forte in batteria (1’59″98, ma a Londra in Diamond League due settimane prima si era spinta fino a 1’58″89) ma è stata respinta dal ripescaggio (2’02″91). La Coiro, fuori a Roma con 2’02″86, ha corso in 1’59″19 la batteria e 2’00″31 i ripescaggi.
Hanno fatto meglio rispetto a giugno anche Dariya Derkach nel triplo e Daisy Osakue nel disco: meglio nelle qualificazioni che in finale l’allieva di Alessandro Nocera (14,35 e 14,14), mentre a Roma aveva saltato al massimo 14,03. La Osakue agli Europei non si era qualificata nemmeno per la finale con un magro lancio di 60,10, mentre alle Olimpiadi ha onorato l’ultimo atto con l’ottavo posto e la misura di 63,11.
Fabbri e Simonelli, un discorso a parte
Ed eccoci a Leonardo Fabbri e Lorenzo Simonelli, le cosiddette medaglie mancate in base alle reali potenzialità palesate durante il lungo avvicinamento ai Giochi. Per entrambi non si può parlare né di calo di forma né di fatiche post europei. Sia il fiorentino che il romano hanno brillato anche nei meeting preolimpici. Il primo è rimasto costantemente sopra i 22 metri, ha battuto Crouser a Londra a dieci giorni dalla gara clou e l’inspiegabile 21,70 fatto alle Olimpiadi è una delle misure più basse prodotte negli ultimi mesi.
Il secondo, dopo il fantastico 13″05 di Roma, ha avuto come unico passaggio a vuoto la tappa di Diamond League a Charlety, prontamente riscattato però dal 13″08 di Montecarlo. Solo un errore tecnico sul penultimo ostacolo ha impedito a Lollo di raggiungere la finale olimpica: in quella semifinale stava andando veramente forte, sicuramente sugli standard a cui aveva abituato di recente.
Difficile dare un giudizio ai Giochi di Ludovica Cavalli, che agli europei nei 1500 ha centrato la finale con un comodo 4’06” ma poi ha avuto un crollo fisico (tachicardia e iperventilazione) nella finale corsa in 4’35”. Alle Olimpiadi, la genovese allenata da Stefano Baldini ha invece corso in 4’02″46 i ripescaggi e in 4’03″59 la semifinale.
Poi il capitolo infortuni, che abbiamo trattato in questo articolo. Claudio Stecchi nell’asta, Anna Bongiorni e Dalia Kaddari nella velocità, Zane Weir e Ottavia Cestonaro che rientravano da lunghi stop, la stessa Federica Del Buono, che aveva ben altre aspettative dopo i mesi che avevano segnato la sua rinascita ma ha scoperto – dopo i tempi alti nei 5000 (15’15″54) e 1500 (4’06″00 ai ripescaggi) di soffrire di una microfrattura al secondo metatarso.
Diventa complicato, infine, fare un raffronto su chi da un bel pezzo fatica a trovare il cambio di passo, come ad esempio il siepista Osama Zoghlami e i triplisti Dallavalle e Ihemeje. Lievi progressi sono arrivati da Simone Barontini, che ha corso gli 800 metri in 1’45″56 ai ripescaggi e in 1’46″17 la semifinale, tempi inferiori a quelli degli europei (1’46″30 e 1’47″10) ma ancora lontani dallo smalto dei giorni migliori.
foto Grana / Fidal