La prima a New York di Mattia Coppini: “Volumi ridotti e mappatura dei cavalcavia in allenamento”

Qualche giorno fa abbiamo raccontato la maratona di New York di Elisa Brocard, l’ex azzurra di sci di fondo che ha trovato nel running una nuova dimensione e che negli Usa era stata la più veloce delle italiane. Oggi chiudiamo la parentesi relativa alle storie dalla Grande Mela con uno che invece il running ce l’ha nel sangue: Mattia Coppini, 30enne coach milanese di cui avevamo parlato nei giorni scorsi presentando alcuni consigli in vista della mezza meneghina del 24 novembre.

Coppini, domenica scorsa, ha disputato la sua prima maratona di New York (seconda di sempre dopo quella di Milano) chiudendola in 3h20’55”. Scopriamo le sue sensazioni, come l’ha preparata e altre curiosità sulla trasferta statunitense…

Mattia, che maratona è stata?
“Totalmente diversa rispetto a quella di Milano, per diversi aspetti: il tifo, l’organizzazione, le emozioni. E’ stata un’esperienza immersiva. Ci sono andato con i miei genitori. Non erano mai stati a New York, gli ho fatto un regalo. New York non è la maratona per fare il personal best ma un evento da vivere con uno spirito di festa e di comunità”.

Il crono finale ha rispecchiato le previsioni?

“Credevo di stare sulle 3h30′. In realtà l’ho preparata insieme a un ragazzo che viaggia più forte di me. Fino a metà gara ho seguito il suo ritmo, poi mi son staccato ma sono riuscito ad arrivare dieci minuti prima rispetto alle previsioni. Un bel risultato, no?”.

Quanto le sensazioni di un coach come te si ripercuotono sulle tabelle dei tuoi allievi?
“Premetto che per essere un buon coach non bisogna necessariamente essere dei maratoneti evoluti. Però è chiaro che solo chi fa certe esperienze può trasmettere agli atleti e condividere con loro alcuni aspetti che nessun altro ti può spiegare, come ad esempio la spossatezza del 37° km o il male ai piedi e alle gambe del finale”.


Nell’ultimo periodo chi stai seguendo e per quali eventi?
“Ho un gruppo di trenta runner per la mezza maratona di Milano e una ventina per la maratona di Milano del 6 aprile. A New York ho accompagnato anche due ragazze alle prime armi che hanno chiuso rispettivamente in 4h14′ e 4h29′. L’abbiamo preparata in cinque mesi, forse serviva più tempo per fare meglio anche perché quella di New York è una maratona pesante”.

Tu invece ti sei preparato sotto la guida di Lorenzo Lotti.
“Ho seguito un plan un po’ diverso rispetto a quelli tradizionali. Ad esempio, come volume massimo settimanale sono arrivato a 95 km, con due appuntamenti fissi a partire da metà giugno: il lungo della domenica, fatto molto bene perché sono partito dai 30 km e sono arrivato al lunghissimo da 38,5 passando da 32, 34 e 36, e la recovery run del lunedì”.

E in mezzo alla settimana?
“Abbiamo svolti tanti variati da 12-13 km, privilegiando la zona 2 per dare priorità al lavoro aerobico. Il passo? Tra i 4’30”-5′ al km. Essendo anche coach e personal trainer mi è capitato spesso di modificare in corsa le tabelle”.

A proposito delle difficoltà altimetriche della maratona di New York, tu hai fatto qualche lavoro specifico in merito?
“Con Lorenzo abbiamo inserito alcune modifiche rispetto al variato classico che non prevede dislivelli. Per le mie corse ho cercato infatti una mappatura di strade con ponticelli, cavalcavia e anche con sterrato. E sono uscito un paio di volte con la pioggia. Il tutto per aumentare il coefficiente di difficoltà, che per la verità avevo già testato durante le tre settimane di allenamenti pesantissimi in Arabia Saudita, con il caldo e i battiti alti. Le condizioni meteo di New York, cinque giorni di sole a 18 gradi e i 12 gradi della gara, hanno fatto sembrare tutto più facile”.

Parlaci delle scarpe da gara.
“Asics SuperBlast 2 Paris. Sono proprio le mie scarpe. A Milano avevo corso con le Nimbus, mentre altre scarpe con piastra in carbonio le preferisco per 10 km, 21 km o per quando devo andare a ritmi elevati. A New York, complice anche il piede che prona, volevo maggiore comodità e stabilità, aspetti che ho trovato appieno nelle SuperBlast 2”.


Come ti sei gestito dal punto di vista dell’alimentazione?
“Era la settima volta che andavo a New York e mangiare bene resta sempre un’impresa. Sono stato molto attento alla quota dei carboidrati già a tre giorni prima della gara, puntando sulla pasta ma anche su colazioni abbondanti a base di pane e gallette”.

E domenica?
“Ho fatto la stessa colazione prevista nei giorni dei lunghi: sei fette biscottate con la marmellata e una col burro di arachidi più mezza baguette asciutta e uno yogurt magro. In gara ho preso un gel da 65 ml ogni 7 km. E acqua ai ristori”.

E dopo l’arrivo?
“Ho fatto schifo, solo cibo spazzatura. Ma forse è giusto concederselo uno sgarro. Almeno a New York, dopo tanta fatica e per come la chiudi gasato”.







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