Scarpe da running: l’impatto dei dazi imposti da Donald Trump sul mercato globale

Il mondo delle scarpe da running, come quello di tutte le calzature e dell’abbigliamento, è in grande fermento. I dazi imposti da Donald Trump rischiano di rivoluzionare il mercato globale che, come noto, dipende a livello di produzione dalla Cina e dagli altri Paesi Asiatici dove la manodopera è a basso costo.

I brand americani, molti dei quali leader nel settore, si trovano in grossa difficoltà di fronte alle politiche attuate nelle ultime ore dal governo a stelle e strisce, in quanto i dazi aumentato in maniera vertiginosa il costo di importazione del manufatto.

Se il Paese che desta maggiore preoccupazione nel quadro globale è senza dubbio la Cina, il cui dazio nelle ultime ore si è impennato a un clamoroso 104%, non stanno meglio i Paesi che hanno rappresentato anche per questioni politiche valide alternative come Vietnam e Taiwan (colpite rispettivamente dal 46% e 32%) oggi produttrici della stragrande maggioranza delle scarpe da running e non solo di Nike, Adidas, Hoka e Under Armour.

Scarpa nike zoom fly 6


L’aumento dei prezzi delle scarpe da running

La situazione è in continua evoluzione e nelle prossime settimane assisteremo a diversi sviluppi. Ma le ripercussioni sul mercato saranno inevitabili. A cominciare dal prezzo al dettaglio per i consumatori, che secondo le stime degli economisti, per assorbire i nuovi costi di importazione, potrebbe subire un immediato aumento tra il 15% e il 40%.

C’è però ragione di credere che l’aumento dei prezzi sul suolo americano comporterà inevitabilmente l’aumento dei prezzi anche in Europa, per evidenti ragioni di mercato.

Con le alte percentuali dei dazi, le società si ritroverebbero a comprare in Oriente un paio di scarpe finito a un prezzo più alto del suo valore, per poi rivenderla a un prezzo ancora più alto per guadagnare.

Con un quadro economico instabile e la persistente inflazione, è chiaro che il runner sui generis, quello che non è un atleta professionista, tenderà a essere più selettivo e a spendere di meno per le scarpe da corsa, entrando in modalità sopravvivenza.

Il tutto si tradurrebbe in una forte diminuzione delle vendite per i brand, i quali hanno già fatto sapere che in ogni caso dovranno per forza di cose continuare a rifornirsi all’estero perché costerebbe di più creare gli appositi impianti di produzione negli Usa: dalle fabbriche per i lacci a quelle per le tomaie ecc.

Una soluzione poco praticabile, dal momento che le principali aziende del settore calzaturiero hanno fatto sapere di non disporre di fonti interne per gli oltre 70 materiali che servono per realizzare una scarpa da running.

Una delle 130 fabbriche vietnamite che producono le Nike.

Il colosso Nike, il cui nuovo CEO Elliott Hill ha il compito di rilanciare il marchio su scala globale, vedrebbe rallentare di molto i propri sforzi e non è un caso se le azioni Nike hanno subito una contrazione del 12% dopo le misure annunciate da Trump, al pari di altri marchi come Ugg, Hoka (riuniti sotto la Deckers che nei giorni scorsi ha fatto registrare un -15% in Borsa) e VF Corp (tra i marchi, North Face, azioni a -31%).

La mossa del Vietnam

Intanto, tra i Paesi che dall’altra parte vengono fortemente penalizzati, si è mosso il Vietnam. Che ha chiesto ufficialmente un rinvio di 45 giorni nell’applicazione dei dazi e una tavola rotonda per raggiungere nuovi accordi bilaterali vantaggiosi per entrambe le Nazioni, promettendo di comprare più prodotti dagli Stati Uniti.

Il Vietnam è il Paese che negli ultimi anni è stato protagonista nei rapporti commerciali con gli Stati Uniti per quanto riguarda il settore tessile e calzaturiero. Proprio durante la prima amministrazione Trump, tra il 2017 e il 2021, lo stato dell’Indocina beneficiò del trasferimento di intere linee di produzione di scarpe americane dalla Cina.

fonti: CNBC, NBC, DolarHoy

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