Parigi e la sfilza di azzurri incerottati: ultime 48 ore per rimpinguare il medagliere

Restano le ultime 48 ore per non tornare a casa con la sola, entusiasmante medaglia conquistata da Mattia Furlani nel salto in lungo. Le possibilità per non chiudere a quota 1 ci sono. Ma le certezze non sono poi così tante e, come visto nei giorni scorsi, di occasioni se ne sono perse…

Stasera ci proverà senz’altro la 4×100 maschile. Melluzzo, Jacobs, Desalu (preferito a Patta) e Tortu hanno strappato col brivido la qualificazione, facendo segnare il quinto tempo in semifinale. In finale sarà tutta un’altra storia e la formazione del prof. Di Mulo ha tutte le credenziali per salire sul podio e difendere con i denti un oro olimpico che sembra indirizzato verso gli Stati Uniti. Dopo i boss però, sulla carta, ci siamo noi. La Giamaica, che poteva essere la seconda forza, non ha raggiunto l’ultimo atto. E le altre avversarie, per uomini e qualità dei cambi, non ci sono superiori.

Oltre alla staffetta dei sogni, la seconda chance è chiaramente a disposizione di Gianmarco Tamberi. Il capitano azzurro ha promesso che sabato sera avrebbe mandato in pedana la versione vera del campione che ha fatto fatica durante le qualificazioni di mercoledì, debilitato dalla febbre dei giorni precedenti. Noi ci fidiamo e conosciamo la verve agonistica di Gimbo. Se sta bene, anche solo al 90%, il marchigiano ci regalerà tante emozioni e non mancherà l’appuntamento con la medaglia.

Stasera in pedana, quella del salto triplo, ci va invece Andy Diaz. Alla vigilia, un altro asso da calare sul tavolo delle medaglie, ma ancora lontano dalla brillantezza a cui ci ha abituati. L’allievo di Fabrizio Donato, che a Parigi indossa per la prima volta la maglia azzurra, nelle qualificazioni non è andato oltre i 16 metri e 79, accedendo con l’ultima misura alla finale. L’italo-cubano è uno che salta di norma oltre i 17 metri e mezzo ma dopo le noie muscolari di primavera non ha più gareggiato e le sue reali condizioni sono un’incognita.

Marcia maledetta: non c’era nemmeno l’alternativa a Palmisano

Lunghissima è la lista degli azzurri incerottati a queste Olimpiadi e impossibilitati a dare il massimo. Sì, un po’ di jella l’abbiamo avuta. A cominciare da quelli che potevano ambire alla medaglia: i marciatori.

Antonella Palmisano in staffetta.


Massimo Stano è riuscito in extremis a raggiungere un picco di forma accettabile dopo la frattura al metatarso rimediata ai mondiali a squadre di Antalya ma nel finale della 20 km la caviglia ha ceduto un paio di volte e ha condizionato la lotta al bronzo.
Antonella Palmisano è andata più piano del previsto e solo dopo la staffetta mista, disputata in coppia con l’altro olimpionico pugliese, abbiamo saputo del Covid che l’ha costretta al ritiro nella sua gara e l’ha condizionata anche nella successiva prova a squadre che l’Italia ha chiuso al sesto posto.

L’alternativa alla fuoriclasse di Mottola non c’era. Perché chi avrebbe potuto sostituirla, forse stava messa peggio. Valentina Trapletti, reduce da una formidabile stagione (oro ai mondiali a squadre di Antalya con Francesco Fortunato, argento europeo, titolo italiano), è arrivata a Parigi con gli strascichi di un grave e misterioso malanno (una settimana di febbre alta e dolori articolari) che l’hanno fermata per tre settimane, costringendola a giri di ospedali e cicli di farmaci.

Gli altri azzurri a mezzo servizio

Anche in pista non sono mancate le controprestazioni spiegate da condizioni precarie e infortuni. Claudio Stecchi, assente per tutta la stagione, ha fallito di un soffio il pass per la finale del salto con l’asta e ha dichiarato di esser arrivato a Parigi con tre allenamenti sulle gambe e una sola gara di test.

Le grandi aspettative di Federica Del Buono, in gara nei 5000 e nei 1500 metri, si sono dovute scontrare con l’inattesa microfrattura al secondo metatarso, diagnosticata a seguito della risonanza che la mezzofondista allenata da Massimo Magnani ha ritenuto opportuno dover fare in seguito al dolore che l’ha attanagliata nell’ultimo periodo.

A Parigi ha corso a mezzo servizio anche Davide Re, senza riuscire a incidere nei suoi 400 metri. Impossibile farlo: un’edema osseo da sovraccarico e poi la lesione degenerativa al tendine d’Achille hanno fatto sì che andasse in pista solo il lontano parente di Davide, che ha dovuto rinunciare a correre i ripescaggi e non sarà a disposizione della 4×400.

Dalia Kaddari a Parigi.


Gli intoppi fisici hanno per forza condizionato anche la 4×100 femminile che non si è qualificata per la finale olimpica. Agli europei il team azzurro aveva già dovuto fare i conti con l’infortunio muscolare in semifinale di Dalia Kaddari, rientrata in extremis alle Olimpiadi ma non di certo al top. A questo si è aggiunta l’infiammazione al ginocchio non del tutto risolta da Anna Bongiorni.

Senza dimenticare i lungodegenti Ottavia Cestonaro e Zane Weir, protagonisti di una vera e propria rincorsa per partecipare a Parigi, e un Alessandro Sibilio sempre alle prese con piccole noie muscolari che minano le sue certezze.

Giustificazioni social, ma sarà per un’altra volta

Curioso il fatto che la maggior parte dei problemi fisici manifestati dagli atleti siano stati resi noti dagli stessi attraverso le più note piattaforme social. Gli azzurri hanno sentito quasi il bisogno di dover giustificare i propri risultati anche per rispondere alla consueta e insensata gogna mediatica messa in atto da stupidi che probabilmente non hanno mai corso dieci metri in carriera.

Ai tanti azzurri che per orgoglio non hanno accampato scuse nelle interviste televisive del dopo-gara diciamo che va bene così, perché siamo sicuri che hanno fatto il possibile per la onorare la maglia. D’altronde, sarebbe stato difficile, anche in precarie condizioni, rinunciare a priori al più grande evento per cui si è lavorato per quattro anni e sognato per una vita. Non fa niente, sarà per un’altra volta. Con un pizzico di fortuna in più.

foto Grana / Fidal

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