C’è tanta atletica nell’ultimo libro di Gianluigi D’Ambrosio. “Tra le braccia dello sport“, recante il sottotitolo “Mai dimenticarsi di chi ha avuto coraggio” è uno sguardo alle storie di grandi donne e uomini del passato che hanno ottenuto incredibili risultati non solo sportivi, ma anche culturali e sociali. Atleti che specie in grandi manifestazioni come le Olimpiadi hanno sfidato i pregiudizi, le discriminazioni e superato ostacoli che sembravano insormontabili per cercare di cambiare il corso della storia.
Vediamo da vicino la genesi e i contenuti di questa interessante opera proprio con l’autore, che racconta anche sui social storie di sport attraverso il progetto Inchiostro Sportivo.
Gianluigi, com’è nata e quando è nata l’idea di scrivere “Tra le braccia dello sport”? Perché ti sei interessato a queste storie del passato?
“L’idea nasce sulle ali di una passione molto forte per lo sport. Avendo fondato Inchiostro Sportivo, ho sempre amato ricercare i motivi che conducono ad un determinato risultato. Cosa si nasconde dietro un traguardo o una sconfitta. Cercando il perché di ogni cosa. Avevo intenzione di approfondire meglio alcune storie, per cultura personale in primis, e poi per evitare che determinati sforzi finissero nel dimenticatoio (essendo storie molto lontane dalle nostre epoche).
Mi è venuta questa idea nel momento in cui ho pubblicato il mio secondo libro “Difendendo da giganti”.
Qual è il messaggio che vuoi far passare raccontando le storie di questi sportivi?
“Non uno, ma molteplici messaggi direi. Partendo dalla figura della donna nello sport, una figura che può essere tranquillamente traslata nel quotidiano. Far capire le sue difficoltà nel ritagliarsi la possibilità di provarci, fino ad arrivare al risultato finale, un traguardo come metafora di una scalata in stile Everest. Anche perché anni fa si aveva una concezione totalmente sbagliata degli effetti dello sport sulle donne, ma soprattutto si riteneva che la donna non fosse proprio in grado di praticarlo. Poi l’importanza di non sprecare un dono, quindi il talento, perché ognuno di noi è nato per eccellere in un ambito o in più ambiti. A seguire il fenomeno del razzismo, ahimè tutt’ora presente in mezzo a noi. Il coraggio e il sudore versato da questi uomini e da queste donne, perché senza di essi non avremmo mai potuto ottenere determinati risultati. Insomma, sono storie molto lontane, ma allo stesso tempo molto vicine, proprio per i motivi sopra citati”.
In “Tra le braccia dello sport” c’è tanto spazio per l’atletica: raccontaci i personaggi e le storie di atleti che ci troviamo dentro…
“Si c’è tanta atletica, da amante di quest’ultima non potevo non parlarne. Anche perché credo che l’atletica in generale sia davvero un tesoro di storie davvero incredibili. Ho parlato di Abebe Bikila, ma non solo della sua impresa a Roma 1960. Delle incredibili imprese della “mammina volante” Fanny Blankers-Koen. Della prima italiana a vincere una medaglia olimpica, ossia la cara Ondina Valla. Del coraggio di Betty Robinson. Di una delle tante figlie di Eolo, ossia Wilma Rudolph. E poi c’è qualche chicca che dovrete scoprire voi stessi…”.
Nelle tue ricerche per Tra le braccia dello sport, qual è la cosa che hai scoperto e che ti ha colpito maggiormente, che ti è sembrata più profonda?
“La volontà di sconfiggere la terribile poliomielite, di lottare e di cambiare il corso della vita. Mi viene in mente la storia di Ray Ewry, la rana umana, un uomo che nonostante la poliomielite è riuscito a frantumare ogni record nel salto in alto, salto in lungo e salto triplo… tutti da fermo”.
Su quale personaggio dell’atletica di oggi scriveresti un libro o racconteresti la sua storia?
“Beh ti rispondo d’istinto e ti dico subito “Gimbo” Tamberi. Una mentalità fuori dal comune, un ragazzo che ha toccato il cielo e continua a lottare. Insegna la cultura del lavoro, conferisce al salto in alto ciò che merita agli occhi di chi lo mastica poco, e soprattutto mi piace come coinvolge il suo pubblico da autentico showman. Non si è arreso a quel brutto infortunio, non si è tirato indietro a Parigi 2024. Ha osato, ha sacrificato tutto, e ha vinto. Un autentico vanto per la nostra nazione”.
Qual è la disciplina dell’atletica che più ti affascina?
“Come risposta vale tutte? Al di là delle battute, se devo darti una risposta, ti dico la regina delle gare: i 100 metri. Meno di dieci secondi, tutti in apnea, il silenzio dello stadio, lo sparo, il boato e l’adrenalina a palla”.
E la gara o l’impresa – italiana e non – di atletica che più ricordi con piacere?
“Ne scelgo due, ma ne potrei citare tante altre. Usain Bolt e il record di 9″58 a Berlino 2009. Solo a pensarci ho i brividi. E poi l’impresa di Stefano Baldini ad Atene 2004, lì dove tutto ebbe inizio un tempo”.
Chi inviteresti a cena tra gli atleti del passato? E tra gli atleti di oggi?
“Usain Bolt e Elena Isinbaeva. Di oggi direi Shelly Ann Fraser-Pryce e Mondo Duplantis”.