Zaynab Dosso & company: gli azzurri che fanno storcere il muso agli inguaribili colonialisti

E’ successo un’altra volta, purtroppo. Lo so, succederà ancora, ma non ci si abitua facilmente. La mia colpa, forse, è quella di dedicare troppi secondi di attenzione a certi messaggi scritti da imbecilli. Ma è lo sgomento, lo ammetto, a far sì che questo accada.

Siamo reduci da un europeo ricco di trionfi per la squadra azzurra. Ventiquattro medaglie, come mai accaduto in passato. I podi sono innanzitutto arrivati da atleti provenienti da ogni parte d’Italia, dato che spiega ancora come il boom dell’atletica sia figlio di piccole cellule disseminate lungo tutto lo Stivale alimentate da tecnici competenti e aggiornati che sanno poi dialogare con la struttura centrale capeggiata da Antonio La Torre.

Atletica italiana fenomeno multietnico: cosa non è chiaro?

Le medaglie sono arrivate anche da atleti italiani di seconda o terza generazione: accade ormai da tempo in uno sport che ha saputo anticipare i tempi e interpretare al meglio il fenomeno multietnico.

Ecco che di fronte alla narrazione delle imprese di Jacobs, Dosso, Simonelli, Furlani, Ali, Tecuceanu e compagnia cantando, sono arrivati anche sui profili social di Atletica Magazine gli immancabili commenti razzisti e denigratori (per fortuna non moltissimi) dei fenomeni che vorrebbero nel 2024 un’Italia esclusivamente chiusa nel suo orticello, autarchica e dalla pelle bianca.

Jacobs e Ali oro e argento a Roma.


Ma chi scrive queste stupidaggini che problemi ha? Mi aiutate a trovare risposte, senza per questo buttarla in politica?
Intanto ripetiamo insieme. Questi ragazzi sono italiani. Questi ragazzi sono italiani. Questi ragazzi sono italiani. Chiaro?

I nostri campioni un vanto per la Nazione

I nomi fatti in precedenza riguardano infatti ragazzi nati (o arrivati da bambini e dunque cresciuti) nel nostro territorio, figli di migrazioni che, a dispetto di qualunquismi e perbenisti e al netto di innegabili problemi d’integrazione, sono stati capaci di portare anche arricchimento culturale.

I genitori dei nostri campioncini (e altri ne verranno, da Kelly Doualla a Gloria Kabangu, tanto per fare due nomi) sono qui da venti o trent’anni. Hanno fatto enormi sacrifici per guadagnarsi una vita migliore. I loro figli hanno frequentato le nostre scuole e studiano nelle nostre università.

Con grande educazione e sani principi hanno pure intrapreso e portato avanti un’attività sportiva in modo serio, che li ha portati oggi a emergere in pista e a esser fior di professionisti. Le loro vittorie sono un vanto per tutta la Nazione.

Doping sociale? Ma siamo seri: basta con la mentalità coloniale

Il commento più geniale è quello del tizio che ha addirittura tirato in ballo l’espressione doping sociale. Come se stessimo falsando le prestazioni sportive approfittando della superiorità di alcuni atleti non degni di indossare la maglia azzurra. Come se ci fosse dietro un progetto (organizzato da parte di chi? della federazione?) mirato a inglobare quanti più “diversamente etnici” per ingrassare il bottino delle medaglie.

Mattia Furlani argento nel lungo.


Penso con tutta sincerità che ipotizzare tutto ciò sia folle. Bisogna svegliarsi: la società italiana è cambiata e con essa il patrimonio genetico a disposizione (per usare un’espressione letta da più parti in questi giorni) insieme a tutto il resto. Se questo ha portato a migliorarci anche nell’atletica, ben venga. Ma deve essere ritenuto la normalità e non guardato con sospetto.

Sostenere che i successi dell’atletica italiana agli Europei e negli ultimi anni siano riconducibili a un’opera di reclutamento (di “neri”, maghrebini, atleti dell’Est ecc…) è semplicemente diabolico. Ci riporta alla sempre viva mentalità coloniale profondamente razzista, presente in tutte le epoche e di cui è intriso l’uomo europeo. Alcuni popoli devono restare un livello sotto, lontano da noi o semmai assoggettati.

C’è spazio per tutti: contano i tempi e le misure

Si vince, in realtà, perché a tutti livelli si stanno facendo le cose per bene, soprattutto sul piano tecnico e territoriale. E allora Zaynab Dosso – che è di origini ivoriane – sfreccia nei 100 metri, esattamente come faceva vent’anni fa la bianchissima Manuela Levorato, che probabilmente con l’evoluzione della preparazione, dei materiali e del mental coaching avrebbe corso anche lei in 11 secondi netti.

Dove sta la differenza? Nell’atletica contano solo i fatti. Nessuno toglie il posto a qualcun altro, ma lo guadagna sul campo. Chi fa i tempi e le misure entra tra i grandi e si porta a casa medaglie pesanti, a prescindere dalle origini. A prescindere da come sia venuto al mondo.

Simonelli Lorenzo oro nei 110 hs.


Oppure volevamo impedire che Marcello Furlani, papà di Mattia, conoscesse la senegalese Khaty Seck? Oppure era meglio che il signor Simonelli, trovandosi in qualità di antropologo in Tanzania, non sposasse un’africana?
O che dodici anni fa, a Rubiera, chiudessero i cancelli in faccia a Zaynab che voleva solo correre e divertirsi?

foto Grana / Fidal

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